Non era capace di intendere e di volere l’assassino dei due poliziotti di Trieste, autore di una feroce sparatoria all’interno della Questura il 4 ottobre 2019. Per questo il dominicano Alejandro Augusto Stephan Meran, accusato di duplice omicidio aggravato, non andrà in carcere, ma passerà trent’anni in una Rems, una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza. La lettura della sentenza, nell’aula della corte d’Assise di Trieste, ha fatto scoppiare rabbia e proteste. Il fratello di uno dei poliziotti morti avrebbe tentato di aggredire uno degli avvocati difensori ed è stato allontanato dai carabinieri.

Che si profilasse una assoluzione lo si sapeva da tempo, dopo che una perizia psichiatrica ordinata dai giudici aveva accertato l’incapacità di intendere e di volere di Meran. Prima del dibattimento, però, una perizia ordinata dal giudice delle indagini preliminari si era espressa per un vizio parziale, che avrebbe portato a una condanna in carcere, seppur ridotta. L’ultima udienza si è svolta in un clima di grande tensione. Erano presenti i familiari e molti colleghi dell’agente scelto Pierluigi Rotta e dell’agente Matteo Demenego, di 34 e 31 anni. In una sequenza durata cinque minuti, con sedici colpi di pistola esplosi all’interno e all’esterno della Questura, i due poliziotti della Volante erano stati abbattuti dall’uomo sospettato della rapina di un ciclomotore che avevano arrestato e che stavano portando in cella di sicurezza. Meran si era impossessato della pistola, li aveva uccisi e poi era uscito dalla stanza indirizzando numerosi colpi verso altri agenti. Poi era stato immobilizzato e ferito all’esterno del palazzo.

Alla lettura della sentenza si sono scatenate le proteste. L’Ansa ha riferito che, uscendo dall’aula, l’avvocato della difesa, Paolo Bevilacqua, sarebbe stato spintonato contro un muro da Gianluca Demenego, fratello di una vittima. Un altro avvocato, Alice Bevilacqua, incinta, ha chiesto ad alta voce di poter uscire, perché le mancava l’aria. Un uomo ha urlato parole offensive all’indirizzo del pubblico ministero Federica Riolino che nella requisitoria, al mattino, aveva chiesto di dichiarare Meran non punibile per vizio di mente.

Il magistrato, al momento di concludere il suo intervento, aveva detto: “Mi dispiace per la richiesta che sto per fare, non la faccio a cuor leggero, ma è questa la verità processuale a cui siamo arrivati”. Anche il procuratore Antonio De Nicolo ha tenuto un lungo intervento, nel quale ha motivato una decisione che sarebbe sicuramente apparsa lacerante per i familiari delle vittime e i rappresentanti delle forze dell’ordine. “Questa tragedia è una ferita per tutti i cittadini italiani: due bravi ragazzi, giovani agenti, che sono morti così. È una tragedia che ha sconvolto la vita di due famiglie, nei confronti delle quali possiamo avere solo profondo rispetto e silenzio. Pensiamo che l’ergastolo possa lenire il dolore? Oppure che possa farlo un internamento in una Rems? Due vite distrutte non hanno possibilità di riparazione, ma noi abbiamo uno strumento riparatorio che è il processo. Già la consulenza del pubblico ministero aveva concluso per la totale infermità”.

Il procuratore ha chiamato Meran “assassino”, ma ha detto che “non è imputabile”. Eppure ha anche sottolineato: “Sarà internato in una Rems, ma va ricordato che queste sono strutture insufficienti e inadeguate, mentre Meran è socialmente pericolosissimo. Io spero che questa tragedia serva a far uscire dal torpore la classe politica nella regolamentazione delle Rems, perché lo Stato deve dare una risposta adeguata al problema del folle reo”. Decisiva è stata la perizia di Stefano Ferracuti, ordinario di Psicopatologia forense della facoltà di Medicina dell’università La Sapienza di Roma. Secondo i risultati, Meran è affetto da una grave schizofrenia e da delirio persecutorio. I difensori avevano dichiarato: “L’imputato va curato e non costretto a morire del suo male”. Avevano invece chiesto la condanna gli avvocati Rachele Nicolin e Cristina Birolla, parti civili per le famiglie Demenego e Rotta.

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