Il fronte di guerra si è ormai sdoppiato. Da settimane s’intensificano i raid degli ucraini oltre le linee nemiche. Almeno 20 dall’inizio dell’invasione gli episodi di incursioni mirate a colpire territori e infrastrutture russi. Perlopiù nella regione di Belgorod, una città russa a 39 km dal confine ucraino dove il governatore ha dichiarato lo stato d’allerta per minaccia terroristica. In successione sono stati presi di mira basi, villaggi, depositi di munizioni e carburante, infrastrutture. Le ultime due esplosioni all’alba di lunedì. A colpire sono perlopiù droni di fabbricazione turca, elicotteri, missili e probabilmente forze speciali infiltratesi dietro le linee. Operazioni mai rivendicate cui sono seguite puntuali minacce da Mosca. Non mancano anche segnali di una lotta partigiana meno visibile del fungo degli incendi, che si consuma dentro le fabbriche a suon di sabotaggi, mentre uomini e mezzi militari pattugliano strade dove – stando al sito indipendente russo Meduza – spuntano ospedali da campo e trincee. Ma chi porta avanti questi avanti attacchi e perché proprio lì? Lo abbiamo chiesto a David Rossi, esperto di geopolitica della rivista specializzata Difesa Online, che ogni giorno monitora incendi e incursioni.

“Se guardiamo la carta geografica il motivo è chiaro. Gli attacchi si concentrano su quell’oblast perché alle spalle c’è Kharkiv, dove i russi sono in ritirata. Di oggi la notizia che un raggio di 30-40 km attorno a quella zona è stato liberato dagli ucraini che hanno ripreso diversi villaggi. E questo succede non certo per la superiorità delle forze in campo ma perché i russi hanno problemi di logistica che derivano anche da quelle incursioni oltre confine: se i rifornimenti devi farli venire da 500 km anziché 40 l’avanzata rallenta e le capacità offensive si riducono. Mi aspetto sorprese anche dal lato del sud. Nessuno ne parla ma la resistenza dalle parti di Kerson e Melitopol ha fatti miracoli, a parte le manifestazioni di protesta contro l’occupazione che sono ormai quotidiane”.

Potrebbe allargarsi anche questo “fronte russo”?
Immagino proprio di sì, per varie ragioni. E se devo scommettere punto il dito sulla Crimea. La pensiamo come una penisola normale ma è collegata al continente con tre ponti. Due collegamenti stradali all’Ucraina, uno dal lato di Melitopol l’altro da Kerson, più il famoso “ponte di Putin” che collega la Russia continentale alla Crimea. Di questi tre collegamenti il ponte dal lato di Melitopol è saltato, è stato gravemente danneggiato e significa per poter gestire la logistica da quelle parti resta solo il collegamento dal lato di Kerson. E non è un caso che a un tratto la grande avanzata verso Zaporizhia di cui si parlava nei giorni scorsi negli ultimi due proceda a rilento, scontando la controffensiva e la risposta ucraina. Perché da quel lato non arrivano rifornimenti. Se tagli la logistica le operazioni militari diventano difficili.

E potrebbe estendersi sul territorio russo?
Penso di sì, ma qui ci viene in soccorso la demografia. In Russia solo i cittadini che hanno ancora il passaporto ucraino sono 4 milioni, circa il 3% dei 144 milioni di russi. Percentuale che sale al 10 se consideriamo a che quelli con radici ucraine. Ovviamente questa popolazione si concentra più nelle zone di frontiera che sono le stesse su cui è logico concentrare le azioni, non ha senso intraprenderle in territorio del nemico a Vladivostok o nel mezzo della Siberia. Ma farlo lì dove i russi hanno una logistica, rifornimenti, comandi.

E dove ancora?
In Bielorussia, ad esempio. Tutta la logistica militare dei Paesi dell’Est si muove ancora su rotaia. Se colpisci la ferrovia, da una parte e dall’altra, spezzi i rifornimenti. In Bielorussia si muove una resistenza di qualità che ha minato la capacità ferroviaria, e non è detto che sia avvenuto per mano di ucraini.

Chi c’è dietro queste incursioni?
Che siano state tutte azioni resistenziali almeno all’inizio non lo credo. La campagna per accreditarle come false flag è stata così forte che io stesso mi sono sentito “indirizzato” dalle mie fonti. Oggi sono portato a credere che sia un mix di operazioni militari coordinate dall’occidente e di guerriglia partigiana dietro le linee del nemico, anche con il concorso di collaborazionisti e oppositori che sotto traccia contribuiscono a indebolire e rallentare l’offensiva in Ucraina. Sul coinvolgimento dei servizi d’intelligence, britannici o meno, potrei mettere la mano sul fuoco. Del resto gli Usa e la Nato sapevano dell’invasione fin dall’autunno scorso, hanno anche avvertito del rischio. Il mancato effetto sorpresa dell’invasione da parte di Putin ha facilitato il lavoro di questa guerra parallela oltre la linea del nemico, che ha prodotto reti di informatori e collaboratori a supporto.

L’intelligence russa come risponde?
Credo sia un altro comparto che l’offensiva di Putin ha messo in grande difficoltà. Tradizionalmente ogni ministero ha il suo apparato di sicurezza, con i suoi servizi che sono in concorrenza l’uno con l’altro. Non è raro che siano più contenti di far fare una figuraccia all’omologo di un altro dicastero che fare l’interesse del Paese. Non a caso Putin ha messo alla berlina i vertici dei servizi che avevano fornito informazioni sbagliate sulla resistenza e l’atteggiamento con cui gli ucraini avrebbero accolto l’esercito del Cremlino.

Oltre a colpire gli obiettivi fisici a cosa puntano i raid?
Hanno una fortissima valenza simbolica. Fanno sentire la Russia vulnerabile, e ai russi che quella in corso è una guerra che li coinvolge direttamente, non una “operazione speciale” che si consuma lontano da loro. Qualcuno forse ricorda Mathias Rust, l’aviatore tedesco che nel 1987 volò rasoterra su mezza Russia fino ad atterrare sulla Piazza Rossa. I russi all’epoca non se ne accorsero più di tanto perché i giornali di regime sminuirono la portata dell’impresa. Ma non siamo più negli anno Ottanta, c’è Internet e per quanto la rete sia controllata dalla censura di Mosca, per quanto si parli in codice per esprimere le proprie opinioni oltre quelle ufficiali, la verità è che se fai dei danni dal lato di Bolgorod si sente, si viene a sapere.

Quanto può incidere sulla guerra questo tipo di offensiva?
La guerra sarà lunga. Azioni di sabotaggio e di distruzione delle linee di rifornimento possono fare la differenza soprattutto sul fronte russo che ha enormi problemi. La sua industria bellica vanta produzioni impressionanti, il suo “magazzino” di pezzi di ricambio è pressoché sterminato. E tuttavia la Russia sconta una grande difficoltà nel ripristino e nella sostituzione dei mezzi danneggiati o persi al fronte. Sulla carta vanta 30mila carri ma buona parte sono usati per fornire ricambi ad altri. Ma servono anche componenti elettroniche che ormai scarseggiano. La Cina non si azzarda a fornirne più di tanto. E lo si vede non tanto nell’artiglieria pesante dove la tecnologia è piuttosto meccanica ma sul fronte dei droni. Se fate caso negli ultimi giorni quelli abbattuti dalla contraerea ucraina non sono del ministero della Difesa ma di quello delle Emergenze, vale a dire la protezione civile russa. E questo perché con l’embargo non arrivano i chip e i cablaggi per produrne altri, così si ricorre a quelli che ci sono. Prima o poi finiscono, così come i missili. Mosca non riesce a usarli con efficacia e finisce per usarli come arma di terrore, ma non sono infiniti.

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