La Pravda che in russo vuol dire “verità” ha avuto tante vite, quante le speranze che il suo nome alimentava negli animi dei diseredati, dei lavoratori sfruttati, ma anche degli intellettuali, dei rivoluzionari, dei politici e del regime sovietico che ne fece portavoce della sua “linea generale” (titolo, peraltro, di un film di Sergei Eizenstein) per ben 84 anni.

Una, l’edizione più famosa e longeva, soprattutto la prima legale, venne alla luce in un giorno fatidico, per la narrazione comunista. Fu l’astuto Lenin a deciderlo, giacché la simbologia era un elemento fondamentale rivoluzionario: scelse infatti il 5 maggio del 1912, perché coincideva con l’anniversario della nascita di Karl Marx (anche quello della morte di Napoleone, il quale aveva osato attaccare la Russia ma da questa era stato sconfitto ed umiliato…). Come a legittimare la testata, strumento fondamentale di incontestata propaganda per l’edificazione socialista, nonché vangelo della didattica politica, ossia educare il popolo ma soprattutto formare i quadri bolscevici del Partito Operaio Socialdemocratico Russo.

In realtà, la data riportata in prima pagina è quella del 22 aprile [in foto], perché in Russia vigeva ancora il calendario giuliano. Il giornale costava due copechi, aveva quattro pagine, era stampato a San Pietroburgo: dominavano ponderosi articoli su questioni economiche, sul movimento operaio e gli scioperi, ma c’erano anche due poemi proletari. La tiratura variava tra le 40 e le 60mila copie. Il direttore era Lenin, ma per evitare di finire in prigione si adottò il trucco di affidare formalmente il giornale ad un redattore capo che accettasse questo rischio, e far risparmiare al partito ammende pesantissime. Il primo fu Mikhail Egorov. Nel giro di due anni gli succedettero 42 altri redattori più che capi, capri espiatori. La censura zarista era sempre in agguato, pronta a bloccare il giornale che era finanziato dal Comitato Centrale del partito, da lavoratori e da personaggi come Massimo Gorky. Ufficialmente l’editore era Nikolaj Poletaev, membro della Duma. I deputati erano protetti dall’immunità parlamentare.

La stampa socialista e comunista, in quegli anni, era abbastanza affollata. La Pravda fin da subito emerse per il suo taglio originale, perché era realizzato non solo per tutti i lavoratori, ma anche scritto da lavoratori di cui certi erano corrispondenti, altri distributori e sottoscrittori. Giocò, così, un ruolo di primo piano nella bolscevizzazione del movimento operaio, raccontando le difficili condizioni dei lavoratori in tutto l’Impero Russo, il loro sfruttamento, i loro problemi, le loro aspirazioni. Incitava i lavoratori a unirsi, a sollevarsi, a ribellarsi contro l’ordine esistente, con mezzi leciti o illeciti. Era una pubblicazione sovversiva, per il regime zarista e come tale venne spesso sospesa e, in più riprese, vietata.

Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, nel luglio del 1914, fu chiusa e i membri della redazione, nonché i suoi impiegati, furono arrestati. Ma l’indomito Lenin escogitò espedienti per mantenere in vita il giornale, cambiandogli la testata. Che divenne, dal 1914 al 1916, dapprima Rabochaya Pravda (la Verità dei Lavoratori), poi, successivamente, Severnaya Pravda (la Verità del Nord), Za Pravdu (Per la Verità), Proletarskaja Pravda (la Verità Proletaria), Put’Pravdy (il Cammino della Verità), Rabochiy (l’Operaio), infine Trudovaya Pravda (la Verità Lavoratrice).

Quando Lenin ritorna a San Pietroburgo dall’esilio in Svizzera è il 16 aprile del 1917, la Pravda è stata riaperta a fine marzo in un tripudio esaltante, lo stesso giorno del suo arrivo, Lenin scrive le celebri “Tesi d’aprile”, articolate in dieci punti. Un testo perentorio e clamoroso: sancì la svolta ideologica nel turbolento processo rivoluzionario sovietico.

Nella prima di queste dieci direttive, infatti, denuncia il conflitto in corso, “quale guerra imperialistica di brigantaggio”, continuata dal governo provvisorio costituito alla caduta dello zarismo, un governo che per il capo bolscevico era espressione delle forze borghesi capitalistiche. Il decalogo leninista viene pubblicato dalla Pravda il 20 aprile con il titolo “Sui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale”. La guerra non poteva essere giustificata neanche in nome della “difesa della rivoluzione”. Lenin voleva convincere il popolo ingannato dalla propaganda borghese che la guerra in corso non era né giusta né necessaria, soprattutto non era nell’interesse della classe operaia e dei contadini poveri.

Ecco, è in quella data fatidica che la Pravda diventa la Pravda. Dal marzo al dicembre del 1917 il Comitato editoriale è composto dal Gotha rivoluzionario: Vladimir Il’ic Lenin e la sorella Maria Ilynichna Ulyanova, Iosif Vissarionovic Stalin, Lev Borisovic Kamenev Stepanovich Eremeev, Mikhail Ivanovic Kalinin, Mikhail Stepanovic Ol’minskij, Matvej Konstantinovic Muranov, Vjaceslav Mikhailovic Molotov che era il Segretario editore. Il 3 marzo 1918, il giornale è trasferito a Mosca, quando diventa capitale del Paese.

La Pravda è ormai il principale giornale russo. Si espande a macchia d’olio, e con la diffusione accresce pure l’autorevolezza che le attribuisce essere la “voce del Cremlino”. Durante la guerra civile, mobilita il popolo contro i Bianchi e altri movimenti anticomunisti. Lanciò uno slogan che divenne grido di battaglia: “Proletari, montate sui vostri cavalli!”. Fu talmente popolare da diventare una sorta di saluto, di commiato alla fine delle feste, ingollando l’ultimo bicchierino di vodka, prima di partire, come un augurio. In fondo, avevano vinto.

Negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, la Pravda trasmise a milioni di lettori l’incitamento del Partito perché partecipassero alla realizzazione “dell’impetuoso sviluppo agricolo e del progresso industriale”. Ormai, si è trasformata in un poderoso ed efficiente apparato propagandistico. Contribuisce a mistificare la realtà oggettiva, inventando una mitologia per far credere che le scelte di chi governa l’Urss sono sempre corrette, ed agisce per il bene di tutti. Trasforma gli infami processi “complottisti” in azioni indispensabili per eliminare “la sozzura” dei profittatori, dei “vecchi specialisti” che derubano lo Stato e sono corrotti; giustifica le spaventose purghe staliniane in inevitabili conseguenze di giustizia – d’altra parte, per i russi, il nome Pravda aveva una connotazione chiara, risaliva all’antico codice giuridico della Rus medievale di Kiev, conosciuto come Russkaya Pravda, però in un contesto in cui il significato era Giustizia piuttosto che Verità. Esalta la natura democratica del regime stalinista, il cui culmine è rappresentato dalla nuova costituzione promulgata da Stalin dopo l’VIII congresso del Pcus, in cui ne fa rapporto.

La Pravda è sollecita nel pubblicare una serie di articoli in cui spiega le novità costituzionali, a partire dal principio che la società sovietica è socialista per l’essenziale, è omogenea, costituita da operai, contadini kolkoziani e dall’intelligentsja. Le classi ostili sono finalmente sparite. I popoli dell’Urss sono liberi, nelle loro peculiarità idiomatiche e culturali, perché “gioiscono” del far parte dell’Urss. Assimilazione. Integrazione. Il potere sovietico vuol far credere che siano tutte rose e fiori. Si elogia la gioventù comunista, la quale contribuisce al grande sforzo collettivo dell’edificazione del socialismo in un solo Paese: non esiste la disoccupazione, i ragazzi hanno prospettive inimmaginabili, studio e lavoro, binomio perfetto. La propaganda è martellante.

La sintassi della Pravda è la bussola indispensabile per capire le dinamiche interne del Pcus, e la “linea” imposta da Stalin. Nascono nuove formule lessicali: “Podpol’nye Ljudi”, gli uomini del sottosuolo, designa i complottisti, i sabotatori, i nemici del popolo. Il primo processo contro queste creature immonde che minano la sicurezza interna è contro gli ingegneri minerari, alla fine degli anni Venti. Essi sono “agenti della borghesia mondiale”. “Lacché degli imperialisti”. “La palude opportunista”. Espressioni che la zelante Pravda pubblica tra il 1928 e il 1930. La teoria del complotto (e dell’accerchiamento) si costruisce attorno alla tematica della sozzura, della Gadina (il fango morale) le metafore dominanti sono quelle dell’ombra, cioè la metonimia del Male, del sottosuolo (il segreto), della cantina, della cripta (entrambe immagini mortifere). Sono gli archetipi del modo di funzionamento del discorso staliniano per giustificare le grandi ondate di repressione che sconvolgono il quarto di secolo dal 1928 al 1953, quando Stalin muore. La Pravda è il complice mediatico.

Lo scopo della Pravda era mostrare che l’Urss creava una nuova società, un mondo nuovo, per un “futuro radioso”. Quindi, veniva dato ampio spazio alle imponenti realizzazioni infrastrutturali, che dovevano essere le più grandi del mondo. Come il canale Mosca-Volga, più esteso del canale di Panama, con la più possente costruzione idroelettrica mai costruita prima. O la (bellissima, bisogna ammetterlo) metropolitana di Mosca, che incarnava la riuscita del modello sovietico, simbolo della riuscita di uno Stato in cui il lavoro del proletariato dava il suo meglio. La metropolitana è un “fronte nella guerra” che l’Urss conduce per fondare, appunto, la società nuova in cui i Diritti dell’Uomo sono prioritari, contro lo sfruttamento e la schiavitù.

La Pravda glorifica dunque i progetti di modernizzazione, di urbanizzazione e di trasformazione economica. Innalza a stereotipo l’operaio Udamik, ossia imperturbabile, mentre schiaccia come scarafaggi, e parassiti, i “sabotatori” dell’economia. Così, si mascherano i fallimenti degli ambiziosi e irraggiungibili Piani Quinquennali. E si comincia a spacciare per difensori dello Stato gli sgherri della polizia segreta. Succede il 29 marzo 1930, la Pravda li descrive come “la spada della rivoluzione proletaria”, il Direttorato politico dello Stato – ossia la famigerata polizia segreta GPU chiamata Ghepeù o anche Lubjanka, la sede in cui gli arrestati sparivano – diventa “il guardiano della dittatura del proletariato”. La Pravda veicola progressivamente il concetto del segreto di Stato, un “dovere sacro per ogni cittadino sovietico”.

Intanto, dalle primordiali quattro pagine, la Pravda è cresciuta a dodici pagine. La prima tratta argomenti internazionali e gli eventi più importanti; la seconda si sofferma sulle cronache relative al progredire della collettivizzazione; la terza evoca la “costruzione del Partito”, la quarta cronache varie ma tutelate dalla testatina “sotto il controllo delle masse”, la quinta ospita reportages dalle varie repubbliche socialiste. Poi, spazio a cultura, esplorazioni (quelle dell’Artico sono trattate in modo particolare, gli esploratori vengono esaltati come eroi). Piacciono al pubblico sovietico le conquiste tecnologiche, l’aviazione, campeggia il monoplano più grande del mondo “Maxim Gorki”, le critiche a libri, ai film, le discussioni ideologiche sono fiumane che occupano pagine e pagine. Leggere la Pravda diventa un dovere. Era l’emanazione scritta del potere.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Pravda segue pedissequamente l’evoluzione delle lotte di potere dopo la morte di Stalin, ma senza scrivere che ci sono. Viene subito il tempo di affossare politicamente Beria, di cui se ne denuncia il culto della personalità (Pravda, 11 luglio 1953). Gli anni dei gulag, la crisi di Cuba, Gagarin, il primo cosmonauta nello spazio, la Guerra Fredda, l’avvento dopo Krusciov, i carri armati a Budapest e poi a Praga, la repressione della dissidenza, il lungo regno al Cremlino di Breznev, simulacro della gerontocrazia che imbalsama il Paese. La Pravda è custode della lenta agonia sovietica, ma continua a raccontare un’Unione Sovietica come se fosse sempre in procinto di raggiungere la luna del comunismo, mentre invece si avvia alla resa, inesorabilmente.

Le illusioni erano alimentate dalla stagione d’oro editoriale degli anni Settanta, è stampata in quaranta città, raggiunge una tiratura di quasi undici milioni di copie: la Pravda è la custode del potere, anzi, è essa stessa potere. Perciò, con questa autorevolezza imposta, continuò a sfornare il suo giornalismo di regime, vera e propria fabbrica di verità sottaciute, di manipolazioni, di dibattiti politici stantii, infinite colate di piombo sulle pagine del giornale, alleggerite di tanto in tanto da fotografie e da rubriche. Ogni giorno la redazione riceve 1300 lettere, segno di affetto e stima; una parte della costa antartica è battezzata Pravda, oggi vi opera la stazione scientifica Mirny (Pacifica). Però siamo agli sgoccioli.

Si arriva a Gorbaciov, alla glasnost, alla perestroika e la Pravda si adegua alle nuove rotte politiche, all’apertura verso l’Occidente. La Caduta del Muro è il sintomo della crisi. La caduta dell’Urss le fa perdere tutta la sua influenza, e ogni potere. Resiste, poi Boris Eltsin sospende le pubblicazioni il 22 agosto 1991, accusandola di aver sostenuto il putsch di pochi giorni prima. La compra Yiannis Yiannikos, finanziere greco di Atene, che rifonda la testata con la società Zao Pravda International, quale “giornale politico generale”. Nel 1996 la Zao fonda il sito web pravda.ru, che però non c’entra più con la vecchia Pravda. Il quotidiano continua ad uscire sino a quando, nel 1997, non è acquistato dal Partito Comunista della Federazione Russa, per esserne l’organo ufficiale. Esce tre volte la settimana, tira centomila copie, la dirige Boris Komotsky.

Una volta sono andato a trovarlo, al 24 di ulitsa Pravda, a Mosca. Dove c’è anche un bar ristorante che si chiama così (ho sottratto il menu…). Disse, compiaciuto, che la Pravda è ormai il solo giornale russo che non ha cambiato né forma né sostanza: “Siamo fedeli al nostro nome”. Dietro la scrivania, campeggiava la riproduzione di un ritratto di Lenin, in posa, mentre legge assorto la Pravda. Esiste un sito (www.gazeta-pravda.ru), il numero che dovrebbe essere messo in linea oggi è il 47 (il 31250 dal 1912). Centodieci anni e dimostrarli tutti…

La Repubblica tradita

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