Non ci si deve far ingannare: le continue giaculatorie padronali sulla mancanza di manodopera non vanno intese come se i lamentosi imprenditori non sapessero che per trovare persone disposte a lavorare occorre pagarle di più. Lo sanno perfettamente, questi volponi. È che la lotta di classe dei ricchi contro i poveri va sempre rinfocolata, non voglia il cielo che si affermi nel paese la consapevolezza dei diritti dei lavoratori. Una lotta di classe che è già stata vinta dai primi, i quali tuttavia conoscono le regole: mai abbassare la guardia. Arriva la stagione? E allora bisogna rinforzare nel paese quella falsa coscienza che individua nel giovane fannullone il problema della carenza della manodopera.

Non si trovano bagnini cameriere uomini di fatica? Bisogna cannoneggiare dai giornali sostenendo che la colpa è dei giovinastri che non hanno più l’etica del lavoro, che vogliono tutto e subito, che non sono più disposti a fare sacrifici. Tradotto: l’“etica del lavoro” è la disponibilità a farsi sfruttare a paghe ridicole, magari in nero; “vogliono tutto e subito” significa che quando fanno i colloqui pretendono – che roba, contessa! – di conoscere in anticipo le condizioni contrattuali, e chiedono perfino – quale hybris! – l’entità della paga; “non sono disposti a fare sacrifici” vuol dire che non sono disposti non solo a paghe da fame, ma a straordinari non pagati (tanto che qualche buonuomo sui giornali ci tiene a farci sapere che da lui “straordinari pagati”: i diritti octroyés), a ferie a discrezione, a turni umani, etc. Il tutto condito naturalmente dal paternalismo dell’“ai miei tempi”, posto che davvero ai loro tempi funzionasse così: ho imparato che spesso la paternale te la fa chi non si è sudato niente.

E poi c’è lui, lo spettro che si aggira per l’Italia: il Reddito di cittadinanza. Criticato dalla sinistra radicale come modello di workfare per perseguire politiche di immissione al lavoro a buon mercato, da pressoché tutto il resto dello scenario politico e culturale viene descritto come una sinecura concessa ai soliti choosy (e già mi immagino la scena dei poveri ristoratori ‘costretti’ a servire loro stessi ai tavoli, e a quei tavoli a farsi servire luculliani desinari proprio quei giovinastri gonfi di RdC e arroganza riccastra). Ma, come sopra, lo sanno perfettamente che non è così. Vero che il mondo è pieno di stupidi, ma la maggior parte non è così stupida da pensare che con il RdC si possa campare e cantare. E allora perché schiumano contro la misura che farebbe stare i ragazzi sul divano (ma vedi il workfare di cui sopra)? Perché hanno capito perfettamente che il RdC è uno strumento, labile, imperfetto, debole, ma uno strumento di resistenza, un mezzo che dà alle persone potere contrattuale. Gli imprenditori lo sanno, e allora rinsaldano il blocco storico, costruiscono egemonia a mezzo stampa, affinché davvero nel paese si pensi che questi nostri giovani non hanno voglia di fare nulla.

Fino a che saranno i giovani stessi a convincersi (quelli che non sono già convinti, e sono i più) di essere davvero loro il problema. Tanto da portare acqua al mulino di chi dirà: “Aboliamolo questo RdC!”, ché non si dica mai più che uno non va a lavorare perché lo pagano poco. Del resto, in tempo di guerra, vuoi mettere un lavoro, anche malpagato, rispetto al nulla? E non fa niente se nel frattempo arrivano notizie di gente pagata 10 euro per un servizio di cinque ore in cucina, di ristoratori che evadono per più di 100 milioni di euro. E non fa niente se vai a guardare i menù dei padroni lamentosi e scopri che un panino te lo fanno pagare 15 euro e nel frattempo ti propongono una busta paga al lordo di 22.000 euro all’anno.

Un sospiro di sollievo lo tirano quelli che pensano: “Eureka! Gli immigrati il RdC non lo prendono”, e via con l’esercito di riserva, nella speranza un giorno di poter tornare a fare indisturbati il loro bel dumping salariale senza più neanche l’ostacolo del workfare. Pura giungla: “Mi piace l’odore dello stato di natura al mattino”.

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