Il primo missile russo 3M-54 Kalibr – della famiglia dei Cruise – è caduto sul monumentale palazzo dell’Amministrazione regionale di Kharkiv pochi minuti dopo le 8 del 1 marzo scorso. Penetrato dal tetto, ha distrutto tutta un’ala dello splendido edificio, patrimonio culturale della città e dell’Ucraina intera, tirando giù quattro piani di macerie. Ne sono seguiti altri due, devastanti: uno finito nel cortile dove ha creato un cratere profondo sei metri e una potente onda d’urto, l’altro nell’edificio sfondando un enorme finestrone e un pezzo di muro spargendo sangue. Drammatico il bilancio finale, 28 morti e decine di feriti. Tra quest’ultimi anche Denis Doroshkin, ex deputato dell’oblast di Kharkiv con il partito Vidrodzhenya (Rinascimento), oggi militare a tutti gli effetti e a capo di una squadra tattica in servizio sul fronte sud-orientale della grande città russofona dell’oriente ucraino.

“Ero al piano terra, vicino all’ingresso principale – racconta – L’attacco alla città era già iniziato e noi stavamo difendendo quella sede. Quando il colpo è arrivato ricordo uno spostamento d’aria e il mio corpo che da un punto è stato trascinato a un altro per svariati metri. Per alcuni minuti non sono riuscito più a capire nulla. C’era il panico, la paura, le urla e attorno la devastazione. Quando l’attacco è finito è stato drammatico vedere il risultato, la gente sommersa sotto le macerie. Io sono vivo per miracolo, altri non ce l’hanno fatta”.

I razzi non sono riusciti a cancellare del tutto la straordinaria eleganza dell’edificio. Ai piani superiori, quelli della dirigenza e della politica, con le stanze del governatore e del sindaco, tappeti a terra, decorazioni di pregio, enormi lampadari, marmo e legno. Ora non c’è più una sola finestra con i vetri intatti, una porta non divelta tra enormi cumuli di macerie. A colpire sono le evidenti tracce di sangue rappreso a terra e sulle pareti, sui corrimano, sulla mobilia. In quella che fu la stanza della segreteria del governatore, in mezzo al caos delle macerie, c’è anche una colorata guida turistica di Kharkiv. I turisti, da queste parti, non torneranno presto.

Doroshkin mostra poi “la cosiddetta ‘Sala Ovale’ doveva venivano prese le grandi decisioni politiche. Poi c’è la grande aula del consiglio, con le poltrone dedicate ai deputati, questo ad esempio era il mio posto”. Sul tavolo dei relatori c’è un solo segnaposto ed è quello di Oleg Sinegubov, governatore dell’oblast di Kharkiv dalla vigilia di Natale dell’anno scorso. Proseguendo l’impressionante giro nel palazzo bersagliato dai missili, Doroshkin arriva nel punto più impressionante. Il buco enorme provocato dal primo missile: “Ha travolto tutto, facendo implodere i solai di quattro piani fino al basamento dove c’erano il ristorante e la caffetteria”. All’esterno, nel cortile posteriore, il cratere formato da uno degli altri Kalibr piombati dal cielo è impressionante: “Nella detonazione i veicoli parcheggiati sono stati sollevati fino al secondo piano del palazzo e ridotti a un ammasso di lamiere” aggiunge Doroshkin.

Al limite sud-orientale della città si attraversano una serie di check-point fino al sobborgo di Danilovka. I segni del conflitto armato sono evidenti tutto attorno. La classica battaglia di posizione, con gli ucraini impegnati a bloccare l’avanzata nemica che dal marzo scorso non solo non ha guadagnato terreno, ma anzi ne ha perso in abbondanza. Villette basse, natura rigogliosa, Danilovka offre un paesaggio bucolico interrotto dallo scambio di artiglieria pesante che spingel’autista a una brusca frenata con un testa coda e la fuga per evitare di finire in mezzo al tiro dalla postazione opposta. L’obiettivo è replicare a Danilovka quanto fatto ormai in maniera pressoché definitiva a Slativka, l’enorme città nella città, distrutta dai bombardamenti di marzo e poi riconquistata quando l’esercito russo era riuscito a penetrare fin lì da est. Oggi, in attesa che la città venga definitivamente liberata dal giogo della guerra, Slativka somiglia in tutto e per tutto alla spettrale Pryp’jat, la città-dormitorio a pochi chilometri dalla centrale atomica di Cernobyl. Dal 26 aprile del 1986 Pryp’jat è totalmente disabitata (non così il comune di Cernobyl) a causa dell’altissima concentrazione di radioattività e così resterà almeno per un secolo. Per Slativka i tempi saranno sicuramente inferiori, ma l’abbandono è pressoché totale. Nelle decine e decine di palazzoni che punteggiano l’orizzonte non ci sono acqua, luce e gas, eppure qualche residente c’è ancora. Tre anziani, ad esempio, seduti attorno a un tavolino davanti al loro palazzo danneggiato e mezzo incendiato: “Dopo i bombardamenti di inizio marzo che hanno provocato tante vittime – conclude Doroshkin – abbiamo fatto evacuare tutti. Vivere in queste case non avrebbe avuto senso, eppure ci sono alcuni anziani che non ne hanno voluto sapere di andarsene”.

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