Il 25 aprile del 1945 in Italia il Clnai (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) fa scattare l’insurrezione generale delle truppe partigiane che liberano le principali città della Valle Padana prima dell’arrivo delle forze alleate: la Repubblica Sociale Italiana crolla; i nazisti si ritirano; è la riconquista della libertà. È una fase difficile, coronata però dal referendum costituzionale, dall’elezione dell’Assemblea Costituente e dall’approvazione della Costituzione della Repubblica Italiana – la nostra Costituzione – che, all’interno di una sezione iniziale straordinariamente bella e importante, contiene un articolo oggi particolarmente attuale, l’art. 11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

Nel dibattito all’Assemblea Costituente, Paolo Treves, deputato del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, poi passato al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, così lo commentava: “In quest’articolo noi vorremmo che fosse dalla Repubblica codificato che la guerra non deve essere strumento di risoluzione dei conflitti internazionali, un principio che veramente risponde a quella che è l’essenza della nostra nuova democrazia, quella democrazia che è sorta non da spiriti imbelli, ma proprio al contrario — detesto di fare retorica — dal grande apporto della guerra partigiana”. Il senso dell’articolo, nella visione di Treves e dei costituenti che votarono il testo costituzionale, è chiaro: l’Italia repubblicana deve ripudiare ogni guerra che non sia una guerra difensiva, perché il fascismo italiano è stato bellicista, e ha aggredito prima l’Etiopia, e poi l’Albania, la Francia, il Regno Unito in Somalia e in Egitto, la Grecia e l’Urss, a fianco della Germania nazista. E ciò che è particolarmente importante, nell’intervento di Treves, è il chiarimento di un possibile equivoco, quando egli afferma: ripudiamo la guerra, non perché siamo “imbelli” (cioè deboli, vigliacchi), ma proprio perché abbiamo combattuto la guerra partigiana, che – oltre ad essere stata una guerra civile, patriottica e di classe, come ci ha insegnato Claudio Pavone (Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza) – è stata anche una “guerra alla guerra”, una guerra perché non si combattessero più altre guerre.

Quindi, se si vuole restare fedeli ai principi fondamentali della Costituzione, si deve rispettare quanto è detto nel testo costituzionale: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. È un testo semplice. Non è difficile da capire. Ed è chiaro che la seconda parte dell’articolo prevede una limitazione della sovranità che non deve ledere il principio stabilito in questa prima parte: cioè che non deve cancellare il rifiuto di ricorrere alla guerra per aggredire altri paesi o per risolvere controversie internazionali.

Se si ha un’opinione diversa, se si ritiene che si debba partecipare a guerre per la risoluzione di controversie internazionali, direttamente (con l’invio di soldati) o indirettamente (con l’invio di armi), si dovrebbe anche avere il coraggio di dire che si vuole cambiare uno dei principi fondamentali della nostra Costituzione; e che si vuole rinnegare il valore etico della Guerra di Liberazione, che – come spiegava Treves – è scolpito, fra l’altro, proprio nell’art. 11.

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