Le prime note del Preludio anticipano la sontuosità di un’opera destinata all’immortalità. La carica drammatica del Piano Concerto n. 2, Op.18 di Sergeij Vasil’evic Rachmaninov, il grande compositore, pianista e direttore d’orchestra russo morto negli Stati Uniti nel marzo del 1943, sembra cucita su misura per quanto sta accadendo nel conflitto in seno all’Europa. Sul palco, a riprodurre la magia del genio musicale, c’è Anna Fedorova, 32 anni, stella luminosa del firmamento della musica classica mondiale. La grande pianista originaria di Kiev, sebbene da sette anni viva in maniera stabile ad Amsterdam, ex bambina prodigio cresciuta nei migliori conservatori e la tecnica affinata anche a Imola. Oltre alla sua produzione personale è nota per essere una delle migliori interpreti dei capolavori artistici di Rachmaninov. La Rivoluzione d’Ottobre del 1917 che pose fine al potere dei Romanov costrinse il compositore e la sua famiglia a trasferirsi prima in Crimea e poi, a causa della difficile situazione a lui non congeniale, a lasciare per sempre la Russia alla fine dello stesso anno. Prima i Paesi scandinavi, poi gli Stati Uniti e l’ultimo concerto in Europa alla vigilia dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

Corsi e ricorsi storici, ma c’è da chiedersi come avrebbe reagito oggi Rachmaninov all’aggressione militare della sua Russia ai danni dell’Ucraina: “Così come accadde nel 1917 oggi lui sarebbe scappato dal suo Paese, non ci sarebbe stato spazio per la sua voce – confida Anna Fedorova nell’intervista rilasciata a ilfattoquotidiano.it -. Lui amava la Russia, la cultura prodotta, ma la sua musica apparteneva al mondo e non poteva essere ingabbiata da un regime. Proprio nel momento peggiore della sua vita e della sua carriera artistica, afflitto da una violenta crisi depressiva, Rachmaninov ha reagito regalando a tutti noi proprio il Piano Concerto n.2, un capolavoro, simbolo della sua rinascita e pietra miliare della musica classica”.

Russi di ieri e russi di oggi nelle parole della pianista: “Lo stesso paragone può essere fatto col presente, lo choc in cui vivono tantissimi miei colleghi musicisti russi. Alcuni di loro sono stati coraggiosi a parlare apertamente e criticare la decisione del presidente Putin di invadere l’Ucraina. Per me sono degli eroi e meritano rispetto, non è facile comportarsi come loro. In linea generale le persone non vanno trattate in base al passaporto, ma per la loro essenza. Non sopporto le discriminazioni e credo che questo conflitto aprirà una crisi infinita anche sotto quel profilo. Personalmente ho degli amici e colleghi che vivono in Russia e sono in pena per loro”.

Russia e Ucraina, due Paesi gemelli, due culture affini, eppure ciò non è bastato a evitare un conflitto sanguinoso: “Mio padre è nato in Russia, a casa si parlava russo. Nessuno, io compresa, si attendeva che saremmo arrivati a questo punto. E poi gli orrori di Bucha e altri che stanno emergendo: scioccante, disumano, inimmaginabile. Prima della guerra – racconta la pianista ucraina – tornavo a Kiev dai miei genitori e dai miei amici almeno un paio di volte l’anno. L’ultima è stata nell’autunno 2021. A gennaio, con la minaccia militare sempre più concreta, ho iniziato a preoccuparmi per la sorte della mia famiglia e così il 13 febbraio ho imposto ai miei di lasciare la capitale e venire qui in Olanda da me. Ho organizzato tutto, ogni dettaglio del viaggio, anche se loro erano contrari e non temevano alcuna escalation bellica. Sono stata prudente e lungimirante. La mattina del 25 febbraio ho appreso dell’attacco dalle news: avevo ragione io. In futuro avevamo pianificato di vivere ad Amsterdam e avviare insieme a mio padre un’accademia di musica. Forse abbiamo anticipato i tempi, certo dovremo tornare tutti a Kiev prima o poi per recuperare le cose, rendere meno traumatici gli addii, perché lì è rimasto tutto il nostro mondo, il passato, gli affetti, la vita”.

Tra aprile e maggio lei e suo marito, Nicholas Schwartz, contrabbassista di fama internazionale, avevano pianificato una tournée nelle maggiori città ucraine, dalla capitale a Kharkiv, da Leopoli a Odessa per una serie di concerti con l’orchestra filarmonica: “È saltato tutto ovviamente, speriamo di poter tornare presto. Dopo lo choc iniziale seguito all’attacco di fine febbraio, per diversi giorni sono rimasta ‘paralizzata’ dalla paura e dall’orrore, poi c’è stata una scossa. Dovevo reagire e agire, dare una mano al mio paese e così ho organizzato raccolte fondi e aiuti umanitari attraverso concerti di beneficenza. C’è stata grande partecipazione, di musicisti e di pubblico, e in poche settimane è stato possibile raccogliere quasi 500mila euro, tutti devoluti all’Ucraina attraverso canali di fiducia”.

Il personaggio storico che Anna Fedorova disprezza di più è Adolf Hitler e proprio il capo del Cremlino ha giustificato l’attacco per denazificare l’Ucraina: “Tutto questo è semplicemente ridicolo, sono accuse inaccettabili. L’ucraina non è un Paese nazista, lo dice la storia e, ripeto, i legami con la Russia, dalla lingua alla cultura, sono infiniti. L’orrore è nato in Donbass otto anni fa quando io vivevo a Londra, ora è drammaticamente peggiorato. Io so soltanto che la Russia è venuta si è presa la Crimea e il Donbass e per questo resto allibita”.

Per Anna Fedorova la Russia e la sua cultura ritornano sempre, dai grandi della musica alla sua passione per la poesia di Aleksandr Puškin, oltre a Chopin e il Don Giovanni. Predilige la lealtà e condanna il tradimento, teme la solitudine e vorrebbe vivere al mare. Ha il terrore di perdere un volo, il suo colore preferito è il rosso, il fiore il lillà e se proprio deve gustarsi qualcosa si vede davanti a del formaggio e un bicchiere di vino italiano, Brunello possibilmente. L’Italia, per alleggerire la discussione, è nel suo destino: “Ogni volta che vengo è un piacere per gli occhi e per il cuore – aggiunge la pianista ucraina -. Gli anni della scuola a Imola, i concerti, l’ultimo l’estate scorsa, gli amici, i colleghi, la cultura, l’arte, il cibo, il calore delle persone. Nei prossimi mesi tornerò più volte per suonare, a giugno alla Galleria Borghese di Roma, poi a Montalcino e quindi Cividale del Friuli”.

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