Cultura

La National Gallery rinomina ‘Danzatrici russe’ di Degas in ‘Danzatrici ucraine’: la decisione dovuta (anche) a un dettaglio nel quadro

La scelta della galleria, riporta il Guardian, è stata fatta anche per “spingere le altre istituzioni culturali a ripensare alle interpretazioni ‘pigre’ o all’etichettatura errata dell’arte e del patrimonio ucraino”

di Simona Griggio

Il quadro “Danzatrici russe” di Edgar Degas d’ora in avanti si chiamerà “Danzatrici ucraine”. Il motivo? Le ballerine ritratte dall’artista francese, che dagli anni Settanta del 1800 fino alla morte (nel 1917) si è dedicato a dipingere il mondo danzante parigino, indossano ghirlande e nastri giallo e blu. I colori dell’Ucraina. E così, un secolo dopo la morte dell’autore, il capolavoro pittorico impressionista cambia nome.

Lo ha deciso la National Gallery di Londra. E lo ha fatto, come riporta il Guardian, “spingendo le altre istituzioni culturali a ripensare alle interpretazioni ‘pigre’ o all’etichettatura errata dell’arte e del patrimonio ucraino”.

Chi può affermare con certezza che le tre danzatrici ritratte siano russe?

“Il titolo di questo dipinto – spiega la portavoce della National Gallery – è stato oggetto di discussione per molti anni ed è trattato nella letteratura accademica; tuttavia c’è stata una maggiore attenzione nell’ultimo mese a causa della situazione attuale”. Anche per via di alcuni post sui social da parte di Ucraini che ne hanno segnalato la problematica. Quindi – prosegue la portavoce – abbiamo ritenuto che fosse un momento appropriato per aggiornare il titolo del dipinto, per rifletterne meglio il suo soggetto”.

Olesya Khromeychuk, direttrice dell’Istituto ucraino di Londra, il mese scorso aveva dichiarato a Der Spiegel: “Ogni visita in una galleria o in un museo a Londra con mostre sull’arte o sul cinema dell’Urss rivela un’errata interpretazione deliberata, o semplicemente frutto di pigrizia, della regione come una Russia senza fine; proprio come vorrebbe l’attuale presidente della Federazione Russa”.

Le polemiche da parte di chi ha visto in questa mossa una presa di posizione del Museo non sono mancate. In realtà la questione dell’attribuzione di un titolo a un’opera dal valore inestimabile è complessa.

Che cosa stanno danzando le tre ballerine? Nemmeno questo è chiaro. Dai costumi e dai passi sarebbero intente a esibirsi in una danza folclorica dell’est Europa. Forse il gopak, danza tradizionale russo-ucraina cosacca presente anche nel divertissement dello “Schiaccianoci” di Ciaikovsky –Petipa,

Quindi, tornando al nuovo titolo, si tratta di una forzatura? Degas è morto. Ma anche fosse vivo, forse nemmeno lui saprebbe se le ballerine erano russe o ucraine. Di certo quella danza riflette una tradizione comune. Sono danze popolari dell’Europa orientale che ancora oggi vediamo eseguite da compagnie internazionali folcloristiche come quella fondata da Igor Moiseiev.

Spettacolari, dotate di una sincronia ipnotica, sinonimo della condivisione di una grande tradizione che sovrasta i confini dei territori per attingere a un patrimonio collettivo di danza e musica popolari. Quando sentiamo suonare per strada una balalaika pensiamo subito che il musicista sia russo. Poi, se scopriamo che l’artista è ungherese, per noi ha un’importanza relativa. Ma il nostro approccio approssimativo non può essere trasferito alla titolazione di un’opera d’arte di valore storico.

Perciò, nemmeno la sua titolazione a posteriori durante il conflitto ucraino dovrebbe esserlo. Dove ha visto quelle danzatrici Degas? Chi erano? Che cosa danzavano?

L’opera, realizzata con la tecnica del pastello e attualmente non esposta, si ritiene ritragga uno dei tanti gruppi di danza popolare itineranti che si sono esibiti nei cabaret e vaudevilles a Montmartre, dove viveva Degas.

Mi chiamano il pittore delle ballerine”, confidò lo stesso Degas al gallerista Ambroise Vollard. “Non capiscono che per me la ballerina è un pretesto per rappresentare il movimento”. Il pittore della Parigi dell’Ottocento ritraeva tante ballerine, anche classiche. In tutù di tulle che, proposito, nella versione lunga, usata in tanti balletti di repertorio, si chiama proprio “tutù Degas”. All’epoca la danza era seguitissima a Parigi, dove era ritornata a mietere pubblico con nuova linfa e virtuosismo dopo essere rimbalzata dalla Francia proprio in Russia con il coreografo Marius Petipa, primo maître del Balletto imperiale di San Pietroburgo.

Nel primo Novecento, l’impresario Sergei Diaghilev imperversava a Parigi con i Balletti Russi di cui Vaslav Njjinskij era il protagonista. Un’epoca dell‘arte coreutica splendente. Poi, in piena Unione Sovietica, sono nati i mostri sacri del balletto, da Rudolf Nureyev a Mikhail Baryshnikov. Il primo era di Leningrado (San Pietroburgo), il secondo era lettone ma si era formato proprio al Kirov (oggi Teatro Marinskij) e i due avevano condiviso lo stesso maestro, Aleksander Puškin.

Quella cultura del balletto si era irradiata come la luce di un faro in tutti i teatri e accademie dei territori dell’ex Unione Sovietica, da Kiev a Tirana, da Bucarest a Budapest. Una disciplina e una perfezione di cui hanno goduto generazioni di ballerini. Oggi applauditi in Europa. Nel folk e nell’accademico.

Ha certamente senso oggi, alla luce di ciò che accade, rivelare di che nazionalità fossero le danzatrici del quadro di Edgar Degas. A maggior ragione se i colori delle ghirlande e dei nastri sono considerati dagli esperti un dato filologico. Resta però il fatto che le ballerine danzano una tradizione comune.

Foto Wikipedia/Nationalmuseum Stockholm

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