“Guerra”. Migliaia di insegnanti si sono trovati a dover utilizzare questa password mentre hanno partecipato alla prova di inglese del concorso ordinario per la secondaria. Qualcuno dei candidati ha pensato per un attimo a uno scherzo della commissione ma appena ha realizzato che non poteva essere così è rimasto sconcertato. Stupiti anche i dirigenti e i docenti membri delle commissioni.

La prova si svolge su una piattaforma che ciascun candidato deve avviare inserendo una password comunicata all’ora prevista: “Alle 14:25 – spiega la dirigente dell’ “Einaudi” di Bassano del Grappa, Laura Biancato, a Ilfattoquotidiano.it – ci è arrivata la password. Non potevamo credere ai nostri occhi. La parola scelta è stata: “Guerra”. Quando l’abbiamo vista non potevamo crederci. Mi hanno chiesto cosa stesse accadendo ho detto loro che non mi capacitavo della parola che avremmo comunicato da lì a pochi istanti per poter accedere all’esame”. Alle 14,30 (ora ufficiale dell’avvio della prova), nelle sedi di tutt’Italia, la password è apparsa sugli schermi e sulla lavagna multimediale delle aule. Questione di secondi e c’è stato ovunque imbarazzo, sdegno: “Appena hanno saputo – dice Laura Biancato – che il sostantivo scelto come chiave d’accesso era “guerra” c’è stato un coro di voci irritate, persino arrabbiate”. Nessuno si aspettava che in un momento come questo in cui ogni giorno ci ritroviamo a parlare della guerra tra la Russia e l’Ucraina, con preoccupazione, ci fosse chi potesse scegliere come password proprio la parola più temuta. “È stato agghiacciante. Viene il sospetto – sottolinea Biancato – che possa non trattarsi di un caso”.

In realtà le password formulate per i concorsi non vengono scelte all’interno degli uffici di viale Trastevere: il ministero assegna a un fornitore la gestione del software e della parola chiave e non c’è alcun controllo da parte degli uffici del dicastero. D’altro canto, fino ad oggi, non si è mai verificato alcun problema. Nella sessione mattutina la password inoltrata è stata la parola “villa”.

A stupirsi, alla pari della dirigente dell’ “Einaudi” è stato anche Piervincenzo Terlizzi, preside di Pordenone: “Passato lo sconcerto che ha unito noi commissari ai candidati, abbiamo provato a ragionare, a riflettere insieme al personale presente sulla parola usata come password. È davvero difficile comprendere cosa possa essere passato nella testa della persona che ha fornito quella chiave d’accesso. È chiara l’inopportunità di quel sostantivo”. Terlizzi va oltre. Prova a vedere un lato positivo di questa vicenda: “Il fatto che alla lettura della parola “guerra” molti siano rimasti sconcertati dice qualcosa di buono della nostra sanità mentale. Non ci siamo ancora abituati a questo termine. Forse la società fornitrice non ha pensato alle conseguenze che queste quattro lettere hanno ancora. In una scuola la parola “guerra” risuona proprio male”.

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