L’Unione europea attiverà per la prima volta una direttiva rimasta dormiente per vent’anni, e proprio mentre il Parlamento europeo è a un passo dal cancellarla. Il paradosso è ovviamente figlio del conflitto in Ucraina e riguarda la direttiva 55 del Consiglio dell’Unione europea del 20 luglio 2001, che consentirà ai profughi di ottenere la cosiddetta protezione temporanea, evitando che le procedure per la tradizionale richiesta di asilo mandino in tilt la burocrazia dell’accoglienza nei singoli paesi. Fino ad oggi lo strumento è sempre stato negato dall’Europa, anche di fronte alle richieste dell’Italia e alla recente crisi afghana. Ma adesso la guerra è davanti alla porta di casa e l’Unione dovrà esprimersi anche sulla distribuzione dell’esodo. Un tabù, questo delle quote, che nel confronto tra paesi Ue non è mai stato superato, tanto che le riforme in discussione restano a un punto morto. “L’unica politica davvero europea sull’immigrazione resta quella che investe sull’esternalizzazione delle frontiere dove la logica dei respingimenti vale più del diritto”, commenta Filippo Miraglia, coordinatore del Tavolo asilo e immigrazione (Tai), rete che raccoglie 28 associazioni e ha più volte chiesto l’attuazione della direttiva Ue. “Questa volta non c’è il paese cuscinetto al quale appaltare l’incombenza, come fatto con la Turchia per la crisi siriana”, commenta Chiara Favilli, esperta di politiche europee di immigrazione e asilo e docente di Diritto dell’Unione all’Università di Firenze. E aggiunge: “L’attuazione della direttiva per facilitare il soccorso dei cittadini ucraini è una decisione positiva e importante, ma allo stesso tempo sottolinea l’inadeguatezza di un sistema di accoglienza che per tutti gli altri profughi in fuga da persecuzioni e conflitti rimane tale”.

L’Onu si attende fino a quattro milioni di sfollati, altre stime arrivano a sette. Dimensioni che rivendicano lo strumento che l’Unione si appresta ad adottare per la prima volta, la direttiva del 2001 nata dopo la crisi dei Balcani degli anni novanta che ancora qualcuno chiama “direttiva Kosovo”. Si tratta di norme “per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati”, dice il titolo della direttiva. La procedura eccezionale offre ai profughi provenienti da una determinata area un riconoscimento immediato della durata di un anno e rinnovabile fino a un massimo di due, ed è pensata per evitare “effetti pregiudizievoli per il corretto funzionamento del sistema d’asilo” dovuti proprio alle proporzioni dell’afflusso. Ma non è mai stato necessario definire oltre cosa si intende per “afflusso massiccio” o “numero considerevole di sfollati”, come dice la norma. Perché dal 2001 è sempre stata lettera morta. La spiegazione è forse nella seconda parte del titolo della direttiva, che riguarda la “promozione dell’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri”. Esattamente l’argomento sul quale gli Stati europei si sono scontrati nell’ultimo decennio. Con i paesi di primo ingresso, tra cui l’Italia, a chiedere invano l’equa distribuzione dei migranti e gli altri, a partire dai membri del Gruppo di Visegrad come Polonia e Ungheria, decisamente contrari a farsi imporre l’accoglienza. Posizioni mai conciliate visto che l’ambiziosa riforma europea su asilo e migranti, quella che avrebbe dovuto superare il regolamento di Dublino che blocca i richiedenti asilo nel paese di primo ingresso, parla ancora di “quote su base volontaria”. E non è un caso che nello stesso Pacchetto legislativo ora in discussione al Parlamento europeo ci sia anche la cancellazione della direttiva 55 che parla appunto di “equilibrio degli sforzi”. Nel merito, esiste già un regolamento per superare la direttiva del 2001 con un “meccanismo di solidarietà strutturale, che eviti risposte ad hoc” sull’onda dell’emergenza. Ma per ora è solo una delle ambiziose proposte della Commissione europea formulate nel 2020, tra le altre al vaglio del Parlamento.

“Più volte abbiamo chiesto che fosse attivata la direttiva 55, come nel caso delle persone provenienti dalla Libia, dei profughi siriani, e l’anno scorso per la crisi in Afghanistan. Ma fino ad ora l’Europa ha scelto di organizzarsi sul respingimento”, commenta oggi Miraglia del Tavolo asilo e immigrazione, convinto che l’obiettivo principale delle politiche europee rimanga “l’esternalizzazione delle frontiere”. E cita i sistematici respingimenti illegali sulla rotta balcanica, denunciati anche dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, e la delega alla guardia costiera Libica nel Mediterraneo: “Da quando vige l’accordo sono più di 80mila le persone respinte, indipendentemente dal loro diritto all’asilo”. Un favore ai trafficanti, secondo Miraglia, che nell’approccio europeo legge la condanna dei migranti, obbligati a tentare l’ingresso illegalmente. “Oggi è così anche per gli afghani, eppure scappano da una crisi e da un regime dove i talebani in queste ore bruciano i passaporti per impedire qualunque tipo di allontanamento dal paese”. E aggiunge: “Dei circa 5mila arrivati in Italia la scorsa estate, almeno mille non sono ancora riusciti a fare il primo colloquio con la commissione territoriale per avviare il percorso di richiesta d’asilo”. Eppure, anche nelle disposizioni urgenti del governo di Mario Draghi per la crisi ucraina si parla di Afghanistan, dove il decreto modifica le leggi del 2021 che stanziavano i fondi riservati all’accoglienza degli afghani aggiungendo oggi i cittadini ucraini. Ma appena un comma più in là, l’Italia riconosce ai soli ucraini e non ad altri la possibilità di accedere all’accoglienza anche senza aver fatto richiesta di asilo. E la scelta di inserire la misura in un decreto legge costituisce una prima volta anche per l’Italia, che in passato aveva invece attivato esplicitamente l’articolo 20 del Testo unico sull’immigrazione che prevede appunto la possibilità di riconoscere un permesso temporaneo a chi proviene da determinate aree. Esattamente come nel 2011, con lo scoppio delle primavere arabe nei paesi nordafricani, dove la procedura fu attivata mentre l’Unione europea negava all’Italia l’attivazione della direttiva 55 del 2001, perché il Consiglio Ue riteneva che il nostro paese fosse in grado di gestirsela da solo. Oggi il governo usa un decreto legge perché con tutta probabilità si anticipa l’attivazione della direttiva europea, consapevoli che la gestione della crisi questa volta non potrà prescindere da un coordinamento dell’Unione.

L’invasione russa ha già spinto più di 700mila persone dentro ai confini europei, e per la prima volta il flusso interessa proprio i paesi che più strenuamente si sono opposti a ripensare il sistema di accoglienza europeo attraverso la distribuzione di quote, che tra il 2015 e il 2017 vide espresse richieste di esonero dal piano di ricollocazione, come quella dell’Ungheria. Posizioni che anche in queste ore e nonostante i flussi in ingresso non vengono accantonate, riferisce il quotidiano Avvenire, e potrebbero frenare l’accordo sulla direttiva che attende oggi i ministri dell’Interno dei Ventisette, riuniti per il Consiglio Ue. Ma se da un lato l’attivazione della direttiva 55/2001 darà agli ucraini uno strumento che rimane precluso ad altri profughi – di queste giorni le denunce di residenti in Ucraina di altre nazionalità che vengono respinti alla frontiera polacca e che rischiano di non avere protezione se la direttiva non sarà specificamente attivata anche in loro favore – dall’altro potrebbe rappresentare l’occasione di rivedere l’approccio complessivo dell’Unione su asilo e migranti, procedure di crisi comprese. “Per quanto paradossale possa apparire l’attivazione della direttiva proprio mentre l’Europa si mostra solidale e attiva come non mai, si tratta di un’occasione da non perdere sul piano normativo”, spiega l’accademica Chiara Favilli, che auspica che il Consiglio dell’Unione si esprima anche per facilitare i ricongiungimenti e in favore degli eventuali spostamenti dei titolari di protezione attraverso i confini dei paesi membri, come prevede l’articolo 11 della direttiva, ma a patto che ci sia un accordo tra gli Stati. Insomma, un modo inedito di gestire la presenza di profughi in Europa, che fa riflettere sull’approccio delle riforme in approvazione a Strasburgo. Ed ecco l’ennesimo paradosso: “Il Pacchetto legislativo su asilo e migranti in discussione da tempo al Parlamento europeo potrebbe essere approvato proprio sull’onda di questa emergenza, nonostante la sua attuale veste sia un completo disastro che per paesi come il nostro significherà rafforzare tutte le procedure di frontiera, complicando le cose all’Italia e la vita di chi scappa da guerre e zone di crisi”. E proprio sull’Italia, che se confermati i criteri di ripartizione potrebbe accogliere fino a 800mila persone, la docente di Diritto dell’Unione aggiunge: “Il permesso temporaneo va bene per sopperire ai tempi delle procedure, ma bisogna adottare subito una visone di lungo periodo, e i percorsi di integrazione previsti vanno attivati il prima possibile: insegnamento della lingua, accompagnamento al lavoro, eccetera. I governi devono assumersi da subito queste responsabilità”

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