Pensando a questa guerra, stamattina ho pianto. L’ho fatto nella mia cucina della mia bella casa, mentre facevo colazione con le cose che preferisco. Ero immersa nella mia quotidianità, fatta di gesti quasi automatici e di comodità ormai date per scontate. Poi quel pianto e all’improvviso è stato come staccarmi da me e guardare Francesca da fuori. In un attimo, quei gesti ordinari sono diventati importantissimi, pieni di cura, e l’idea di poterne fare a meno, anche solo per una giornata, mi è apparsa tragica.

Ho realizzato con estrema tristezza che un giorno qualunque qualcuno decide di scombinare la tua vita a tal punto da non sapere più se domani potrai sederti ancora in quella cucina a fare colazione oppure la tua casa verrà sbriciolata come biscotti da qualche missile. Basta anche solo il pensiero della guerra, basta percepirne l’ombra incombente e tutti i pensieri cominciano a farsi cupi, nel petto si apre una sorta di voragine e lo stomaco si blocca.

Ma la mia, come quella di tante altre fortunate persone su questa terra, è appunto solo una percezione. Io sono nata e cresciuta in tempo di pace, ho vissuto e vivo la mia vita senza oppressioni, senza limitazioni alla mia libertà di scrivere, di vestirmi come mi pare, di essere indipendente, di educare mia figlia come meglio credo. La guerra per me è solo nelle immagini dei telegiornali, nelle righe fitte dei libri di storia e nelle atroci testimonianze fotografiche.

Sono nata dalla parte “giusta” del mondo senza nessun merito, ma anzi con la colpa di dimenticarlo troppo spesso. Il mio è un Paese disorientato, corrotto e pieno di contraddizioni, ma è un Paese democratico che basa le sue leggi sul rispetto della libertà individuale, civile e politica e, proprio in virtù di questa libertà, posso esprimere il mio dissenso, manifestare in piazza e ribellarmi se mi viene fatto un torto.

Ho vissuto la dittatura e i suoi orrori solo attraverso i racconti di mia nonna e di altri sopravvissuti. Non so cosa significa vivere con la paura che la prossima bomba sia quella fatale, con il terrore che mia figlia venga venduta come merce o che muoia di fame e di freddo mentre cerco di salvarla dalla guerra, mettendola su un barcone. Io e tanti altri come me osserviamo da lontano, spaventati e impotenti, ma comunque al sicuro. Progettiamo viaggi e feste di Carnevale, scegliamo vestiti in un centro commerciale e andiamo dal parrucchiere, e questo mentre da qualche altra parte del mondo anche solo bere dell’acqua pulita è una conquista.

Stamattina ho pianto perché mi sono soffermata a pensare a quanto la mia vita fosse bella e in quell’istante mi sono sentita in colpa. In colpa per il fatto di essere libera, di avere dei progetti per il futuro, di avere una figlia che potrà scegliere di diventare ciò che vorrà. Poi però, ho pensato anche a quanto fosse ingiusto e addirittura oltraggioso non godere di tale libertà e a quanto fosse importante onorare il fatto di averla.

Ho capito che il modo migliore per farlo, è smettere di considerarla semplicemente un dono e cominciare a vederla per ciò che realmente è: un diritto. La Russia di Putin è un luogo in cui molti dei diritti fondamentali vengono palesemente schiacciati, come fossero auto di passaggio sulla strada di un carro armato. Cose da poco, insomma. Stamattina ho pianto di rabbia, non solo di tristezza. Ora lo so.

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