Il primo gol è un capolavoro: controllo di destro spalle alla porta, di un metro fuori dall’area, palleggio di coscia, saetta al volo di sinistro che si infila nel sette. Il secondo da attaccante di razza: spaccata a centro area su cross rasoterra e tocco minimo per mandare il pallone nell’angolino. E dire che quel pregevolissimo attaccante oggi si sia dato alla “difesa”. Certo l’hanno fatto in tanti: da Lothar Matthaus a Ruud Gullit, da Giampiero Boniperti a John Charles, quello che Brera chiamava il “passo indietro”. Ma “l’arretramento” di Tino Asprilla non è di quelli ordinari: nella carriera (e nella vita) del “pulpo de Tuluà” c’è ben poco di ordinario.

A partire dal talento: quello messo in mostra in Parma – Lazio del Febbraio 1994 – 95 con una doppietta splendida è tutto fuorché ordinario. L’avevano notato quando era ragazzino, quel talento: quelli del Deportivo de Cucutà e poi ovviamente Pablo Escobar in persona, perché se in Colombia sei forte devi giocare nella sua squadra, l’Atletico Nacional.

Lunghe leve (di qui il soprannome “pulpo”), tanta velocità e tecnica sopraffina fanno sì che Tino venga notato anche in Europa: il Parma è l’unica squadra a fare sul serio e se lo accaparra per 4 miliardi di lire. Nasce da lì la storia di quello che a tutt’oggi è probabilmente il calciatore più amato dalla tifoseria ducale. Una storia che non è solo calcio, un amore grande che non dipende solo dalle prodezze di Tino in campo. Perché Tino è Tino: è uno che appena scende dall’aereo, vai a capire perché, compra 100 rubinetti e li manda in Colombia. E fa lo stesso con degli occhiali da sole: “Ma si vendono anche nei negozi colombiani, gli stessi modelli”, gli fanno notare, con lui che ritiene che quelli dei negozi italiani siano migliori.

Dai rubinetti al campo: un gol capolavoro al Milan, su punizione, che interrompe l’imbattibilità dei rossoneri che durava da 58 partite, festeggiato con la tipica capriola di Asprilla. Capriole che Asprilla mostra di prediligere anche altrove: sposato giovanissimo in Colombia, a Parma si vocifera, tra le tante, di una sua relazione con una pornostar e di “incontri” che sovente avvengono anche a poche ore dalle partite. Il mito di Tino, alimentato anche dalle rivelazioni dei suoi compagni, Buffon su tutti, è anche questo: lo sfrutterà anche in termini imprenditoriali, dopo il calcio. Capace di ribaltare l’Atletico Madrid al Vicente Calderon, con una doppietta in semifinale di Coppa delle Coppe…e poi di ferirsi al piede e star fermo tre settimane, saltando la finale, dopo essere andato a salutare la madre morente in Colombia. Una ferita provocata dai cocci di una bottiglia caduta per terra… dirà Asprilla per mascherare un’altra verità: il piede se lo è tagliato con i vetri della portiera di un autobus, preso a calci perché gli aveva tagliato la strada.

E poi ancora gol, pure con la Colombia: una doppietta a Buenos Aires, nello 0 a 5 rifilato all’Argentina che fa parlare il mondo di quella nazionale ricchissima di talento, da Higuita a Rincon a Valderrama appunto ad Asprilla che qualcuno vede addirittura favorita per il mondiale americano. Non sarà così e Tino ci metterà un po’ a smaltire la delusione e tutto il resto a Parma. Tra alti e bassi, e serate in discoteca in cui guida (pare) truppe di travestiti per tormentare Fernando Couto, vince la Coppa Uefa. Tutti quegli eccessi lo allontanano da Parma: va a Newcastle, al netto di qualche problemino fisico nelle visite mediche (leggasi positività alla cocaina). Coi Magpies non fa granché, ma è capace comunque di ritagliarsi dei record: tipo la tripletta a Barcellona dopo essere arrivato in ritardo biblico (pare) per un incontro dei suoi.

Poi il ritorno a Parma, la difficile convivenza con Malesani e il ritorno in Sud America dove si inventa metodi motivazionali in perfetto stile Tino, tipo sparare con la pistola fuori dal campo d’allenamento per spingere i compagni a correre di più. Oggi? Ha lo zuccherificio dove lavorava il papà come operaio, una fazenda con mucche e tori e…come detto in apertura è passato in difesa. Già, sfruttando la sua immagine per metter su un’azienda di preservativi: usando se stesso come testimonial, ovviamente, come quando nel clou della pandemia Covid in Colombia ha lanciato l’offerta speciale “Perché mica posso usarli tutti io?”. Detto sempre col sorriso: lo stesso che ancora oggi riserva ai tifosi ducali adoranti quando torna a Parma, lo stesso delle dirette social con gli ex compagni, a raccontare più le marachelle che i gol. E marachelle e gol tipo quello di ventotto anni fa alla Lazio fanno pensare: ma quanto era bello il calcio anni ’90?

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