Il 21 febbraio del 2020 ero incinta di quasi otto mesi. Lavoravo a Milano, che da lì a poco sarebbe diventata epicentro del contagio. Anche se dalla Cina arrivavano da qualche mese notizie allarmanti, mai avrei immaginato quello che sarebbe accaduto presto anche in Italia.

Valerio, mio figlio, è nato il 28 marzo 2020, nel pieno del primo lockdown, in un clima surreale. Anche le infermiere avevano paura di avvicinarsi a noi partorienti, per proteggerci sia chiaro. Non per proteggere se stesse. Non c’erano mascherine. Ho indossato la stessa chirurgica per tutto il tempo che sono stata ricoverata. Penso spesso al fatto che quando Valerio è nato, la prima cosa che ha visto sono state persone mascherate, senza volto. Compreso mamma e papà. È atterrato in un mondo spettrale, silenzioso, città deserte. Gli unici suoni naturali di quei giorni erano le voci dei suoi genitori. Ancora oggi, due anni dopo, Valerio non si è abituato ai rumori della città. Quando le macchine e le moto sfrecciano sulle strade, lui sobbalza, mi abbraccia forte, mi dice: mamma, paura. Non so se l’avrebbe fatto comunque se non avesse vissuto il suo primo anno di vita nel quasi silenzio totale di una pandemia mondiale. “Più piccoli sono i bambini e più quella vissuta negli ulti due anni è la loro normalità. Il pericolo è che poi, quando ne usciremo, considerino questa normalità anche in futuro”. Alessandra Bortolotti è psicologa perinatale, appartenente all’ordine degli psicologi del Lazio. È autrice di diversi libri cult, tra i più importanti “I cuccioli non dormono da soli” saggio sul sonno dei bambini a partire dalla loro nascita. Un po’ mi rassicura. Forse Valerio è troppo piccolo, gli resterà a vita un album d’infanzia pieno di foto in mascherina, la paura per i rumori troppo forti, ma deve ancora iniziare a giocare con gli altri, e quando sarà il momento di andare a scuola, fare sport e festeggiare insieme ai compagni di classe i compleanni, tutto questo sarà finito, si spera.

C’è invece sicuramente una generazione di bimbe e bimbi, entro i 10 anni, che ha avuto anche una vita precedente. Loro cosa ricordano? E soprattutto, ricordano? Questi lunghissimi giorni fatti di ansie, paure, lutti, distanza e dolore lasceranno cicatrici indelebili nei loro occhi e cuori? “Per loro è diverso. Quando vedranno, come ci auguriamo tutti, che potremo riabbracciarci, io ho paura da psicologa che la vita non tornerà comunque uguale a prima. Anche nel mondo degli adulti ci sono state delle grosse divisioni: per un periodo di tempo ci sarà una fase di transizione in cui alcune cose si faranno e altre no, non perché vietate ma per paura. Anche questo ricadrà sui bambini. Per questo noi adulti dobbiamo capire che per loro siamo un esempio. Se scambiamo noi per primi per normalità quella che normalità non è, saremo noi a creare il cortocircuito”. Un esempio? “L’uso delle mascherine anche quando non è necessario”.

Federico, 7 anni: “Prima a scuola potevamo giocare tutti mescolati” – Ho raccolto le voci di genitori e figli, per non dimenticare, perché la memoria è un esercizio importante. Sia per non cancellare la vita prima del Covid che per metabolizzare questi ultimi due anni di pandemia. Ho lasciato che le parole venissero fuori da sole, ho assecondato i racconti. Perché la memoria va rispettata. Solo così Federico Aluffi, sette anni, ha potuto dirmi la prima cosa che gli è passata per la testa: “Mi ricordo che prima del Covid a scuola potevamo giocare tutti mescolati e adesso hanno diviso il cortile in tre e quindi non posso giocare con quelli delle altre classi”. E se rispetti la memoria, questi bimbi, dopo un ricordo brutto, te ne regalano anche uno leggero, divertente. “Il periodo del lockdown però è stato anche bello”. Ah si? “Perché io sono un po’ pigro, quindi mi andava bene non vestirmi e restare in pigiama”. E se chiudi gli occhi, cosa vedi? “Se chiudo gli occhi non riesco a immaginare persone senza la mascherina, se provo a toglierla sotto ne hanno altre”.

La memoria dei loro genitori è senz’altro più cupa, preoccupata. Spesso i grandi hanno paura di fare domande. Pensano: magari se chiedo stimolo brutti ricordi che invece non voglio vengano fuori. “Mia figlia mi diceva spesso: mamma perché i calciatori si possono abbracciare e noi dobbiamo tenere la mascherina su? Senza neanche poterci toccare a scuola?”. Filomena Farina è mamma e certe frasi di suo figlio non riesce proprio a dimenticarle. “È quella che mi risuona in mente più di tutte e rende l’abisso creato fra la quotidianità dei bambini e il mondo ovattato dello sport miliardario”. Chissà se questo parallelo fa più rabbia a lei o al suo bambino.

“Mia figlia Zoe ha visto due genitori in uno stato di paura e diffidenza” – Silvia Vitale è mamma di Zoe che il 21 febbraio 2020 aveva un anno e cinque mesi. “Lei era abituata a camminare, cadere sporcarsi, io volevo crescerla così, ma quando siamo potuti di nuovo uscire, alla fine del lockdown, mi sono ritrovata a dirle non toccare, stai attenta, mantieni le distanze. Le disinfettavo le mani ogni due per tre. Il mio progetto educativo è stato completamente sconvolto”. Già, è successo a tanti. Vuoi che tuo figlio cresca libero di esprimersi, magari secondo il metodo educativo Montessoriano. “E invece ti ritrovi a mettergli le catene. Per non parlare di come avrei voluto gestire la tecnologia”. È vero, anch’io non avrei mai pensato di mettere la culla di mio figlio di neanche un mese accanto alla telecamera per fargli sentire la voce dei nonni. “Sì. Esattamente così. Mi sono ritrovata a fare videochiamate lunghissime con i nonni lontani, il telefono era l’unico modo per stare vicini ai nostri affetti”. E le domande che non fai ai tuoi figli, comunque tormentano te. Chissà come ci vedono, chi hanno conosciuto in questi due anni di pandemia. “Zoe ha visto due genitori in uno stato di paura e diffidenza più o meno latente a seconda dei periodi. Nella fase evolutiva 0-3 anni è micidiale. È vero che non hanno l’età per percepire un cambiamento netto, ma è anche vero che vivono una normalità distorta e mi chiedo spesso quali possano essere le conseguenze di tutto questo sul loro sviluppo relazionale.”

“Sono papà di due bambini e in questi due anni sono stato quasi sempre disoccupato” – Inizi parlando dei bimbi e finisci per parlare di noi, perché in fondo se loro hanno paura, se stanno male, se soffrono, è perché tutto questo sta accadendo a noi e per quanto bravi possiamo essere, non riusciamo a nascondere del tutto le nostre debolezze. Proprio come Michele Mario Viggiani: “Sono papà di due bambine, una di quattordici e l’altra di nove anni. In questi due anni sono stato quasi sempre disoccupato”. Me lo dice e penso che viva il tormento che anche le sue due figlie abbiano subito questo disagio lavorativo paterno. Michele cambia subito discorso: “Mamma, Daniela, invece, semplicemente meravigliosa, la loro salvezza”. Invece in che senso? Michele non è mica colpa tua se in questi due anni hai perso il lavoro. La verità è che tutti abbiamo bisogno di carezze. E infatti la dottoressa Bortolotti mi conferma che nonostante lei sia una psicologa perinatale, da lei ultimamente stanno andando tanti adulti. “Soprattutto mamme lavoratrici, da sole chiuse in casa in smart-working con uno o due bimbe, senza aiuti, nonni, stanno vivendo un grande malessere che inevitabilmente si trasmette ai figli. Non ci sono state politiche mirate per sostenerle. E mi faccia dire che anche il bonus psicologo da solo non basta.”

“Dovevo dirgli la verità. Il più piccolo dei due fratelli si è chiuso nel silenzio” – Angela Buta, è la mamma di Daniele e Emidio, anche lei lavora e regge botta. Sin dal primo giorno ha fatto una scelta chiara. “Gli ho spiegato subito cosa stava accadendo, certo la realtà non poteva comunque essere comunicata con tutta l’ansia che vivevamo noi. Ma dovevo dirgli la verità. Poi in tv vedevano le conferenze stampa della Protezione civile e quindi ogni tentativo di placare le paure saltava”. Oggi Daniele ha otto anni, Emidio 10. “Daniele nel 2021 ha iniziato la prima elementare, praticamente in DAD. Emidio, invece, era in terza”. E cosa ti chiedevano? “Il più piccolo si è chiuso da subito nel silenzio. Il più grande invece mi ripeteva sempre: mamma quando posso rivedere i miei amici? Quando posso tornare a calcetto?”. E ora Daniele ha rotto il silenzio? “No, così era e così è. Ma se per lui la scuola è iniziata con la pandemia, in DAD, davanti allo schermo di un computer, chiusi in casa, è normale anche che non avesse richieste da farmi. Per questo quando abbiamo avuto la possibilità di scegliere, abbiamo preferito non frequentare i nonni ma farli tornare in classe”. Evocare la memoria è giusto, ma fa male, quindi appena possibile da un pensiero cupo passiamo ad uno divertente: “Emidio un giorno mi vede triste, mi prende la mano e dice: mamma pensa che grazie al Covid da due anni non abbiamo i pidocchi”. Ridere fa bene al cuore e in quel momento ridiamo entrambe. C’è qualcosa che più di tutto ti ha spaventato? “Dopo il primo lockdown ho visto in loro delle regressioni. Terribili. Daniele veniva di notte a chiedermi di dormire insieme. Ho notato anche regressioni nel comportamento e nel linguaggio, come se entrambi fossero tornati piccolissimi”. E cosa hai fatto? “Mi sono rivolta alla pediatra, che mi ha tranquillizzato. Mi ha detto che era normale, stava succedendo a tanti bimbi. Ma poi con un lavoro attento alle loro esigenze avrebbero recuperato tutto”. E quel giorno che hai fatto? “Sono tornata a casa e ho spento la televisione. Non l’ho mai più accesa. Ho azzerato tutto e quando siamo potuti uscire di uovo ho cercato ossessivamente di farli stare sempre in strada con il sole, la pioggia, il freddo”. E va meglio? “Si, ma sai che all’inizio sia Daniele che Emidio non si avvicinavano a nessuno dei loro coetanei? Due bambini, in un parco che hanno paura di altri bambini. Mi ha fatto un’impressione vederli così irrigiditi, spaventati”. Bambine e bambini addestrati a stare lontani, a non toccarsi, a portare le mascherine, a fare tamponi anche ogni settimana, come fosse un gesto normale.

“Se mi piace portare la mascherina? Questa domanda non è tanto carina” – Christian Fabbris è il papà di Marco, sei anni e Andrea, otto anni. Quando gli ho chiesto di raccontarmi come avevano vissuto questi due anni i suoi figli mi è parso felice: “Ho provato a far loro qualche domanda, ma sono spesso riluttanti a risponderci, forse se gliele fai tu con una persona che non conoscono si apriranno. Ti va di incontrarli su zoom?”. Non poteva farmi regalo migliore. Inizia Marco e la prima frase è rivolta proprio a suo padre: “Papà esci”. Così restiamo a guadarci io, lui e mio figlio Valerio. La prendo alla larga. Marco la scuola ti piace? “Il martedì e il giovedì no, perché alle 16,30 ho basket e se mi danno tanti compiti poi quando torno dagli allenamenti non posso giocare.”. Chiarissimo, non fa una piega. Poi prendo coraggio e faccio una domanda retorica che però spero sveli un sentimento che anche papà Christian vorrebbe conoscere. Ti piace portare la mascherina? “Questa domanda non è tanto carina”. Lo so, scusa. “La mascherina non la vorrei tenere ma il regolamento scolastico dice che devo indossarla. Prima a scuola portavamo anche la visiera. Adesso non più. Però chissà magari ci sarà un altro giorno fra un po’ in cui ce la faranno rimettere”. In prima elementare, seduti, distanziati, con mascherina e visiera. E cosa ricordi Marco del periodo precedente la pandemia? “Andavo all’asilo. Era più bello perché lì si giocava soltanto e poi a quattro anni non eri costretto a portare la mascherina, invece alle elementari si”. Quindi ti piaceva l’asilo perché non dovevi portarla? “Non me lo ricordo, non lo so, ma penso di si”. I ricordi si accavallano, le sensazioni anche non hanno ancora una reale dimensione del tempo a sei anni. Marco ma hai capito perché devi indossarla? “Perché il Covid è un virus molto cattivo che fa andare le persone all’ospedale. Anche a noi bambini può succedere”. Già. “Ora scusami ma vado a giocare, ti chiamo mio fratello?”. Entra in stanza Andrea e anche lui vuole restare solo con me, frequenta la terza elementare e ha un problema che vuole dirmi subito: “Mi dicono le maestre che ho un naso troppo piccolo e quindi la mascherina mi cade”. Vabbè ma non è grave. “E ma in classe qualche volta mi finisce sotto il naso e non me ne accorgo e loro mi dicono di rimetterla su”. Ma questo naso piccolo l’hai scoperto solo ora? “Non ricordo. È passato troppo tempo. Non mi ricordo se quando non c’era la pandemia qualcuno me l’aveva già detto”. Ma non hai alcuna memoria del passato pre covid? “Mi ricordo che non c’era il Covid, ma non so bene cosa facevo. Comunque per fortuna ora c’è il vaccino che non ti fa evitare il contagio ma gli effetti gravi si. Infatti io ho fatto la prima dose”. Giuro, mi ha detto proprio così e ho pensato che è grazie ai suoi genitori che Andrea ha le idee così chiare. “Comunque ho dei compagni di classe che non hanno fatto il vaccino ma si son presi il Covid. Per fortuna non hanno sentito dolore”. E con i tuoi amici ora vi abbracciate? “No, scherzi? Le maestre se lo facciamo ci sgridano: dicono che non si può, quindi non lo faccio più. Baci e abbracci solo in famiglia”. E ti manca il contatto fisico con loro? “Un po’ si perché tra le mascherine, le visiere, ci parliamo solo con gli occhi. E a me durante la DAD mi facevano sempre male”. Gli occhi? “Si. Io dico che ora questo Covid sta durando un po’ troppo, quando tutti si saranno fatti il vaccino dovrebbe sparire, quindi io spero che tra un anno e qualche mese vada via”. Ho trascritto fedelmente le loro frasi, per restituire la genuinità dei pensieri di questi bimbi, senza viziarli di una forma data dagli adulti. “I nostri bambini hanno bisogno di sentirsi al sicuro, di abbracci, normalità – spiega la dottoressa Bortolotti. – Fuori non ci si può abbracciare perché c’è il Covid, ma in casa tutto questo non deve mancare. Così si equilibrano le mancanze di cui stiamo parlando. Altrimenti la bilancia pende dalla parte della paura. La normalità è l’abbraccio, scambiarsi la merenda e siamo noi che dobbiamo ricordarglielo”.

Le due amiche che faticano a ricordare il mondo prima del Covid – Nina e Bianca sono le ultime bimbe che ho avuto il privilegio di intervistare. In verità stavo parlando con i genitori e quando hanno capito però che erano loro le protagoniste della nostra conversazione, hanno giustamente preteso di raccontarsi da sole. Nina ha nove anni, Bianca dieci. Sono “quasi” migliori amiche, spiegano. Ho preferito non entrare nel merito del “quasi” ma mi ha fatto molto ridere. Mi sono ricordata che anche io alla loro età usavo espressioni simili per classificare le amicizie. Ragazze, il 21 febbraio sono due anni dall’inizio della pandemia. Mi correggono subito: “In Italia l’anniversario è il 21 febbraio ma in Cina il Covid c’era già da prima di Natale”. E voi come lo sapete. “Il telegiornale lo raccontava ma non ho dato tanta importanza alla cosa finché non siamo entrati in quarantena e hanno chiuso tutto anche in Italia”. Come due perfette conduttrici in sintonia fra loro, Nina passa la parola a Bianca: “Io invece ne avevo sentito parlare da papà, e proprio come Nina anche io non gli avevo dato importanza all’inizio. Quando è iniziato il lockdown ho collegato e mi son chiesta: non è che è lo stesso virus cinese?”. E avete avuto paura? “Si, si, io all’inizio ho avuto paura di morire, pessimista quale sono – ammette Nina. – Non capivo cosa stava succedendo. Mi sono fatta tante domande.” E hai trovato tutte le risposte? “Non ancora”. Una domanda a cui cerchi risposta? “Da dove viene il Covid?”. Bianca la guarda sorpresa: “Ma come da dove viene, dal pangolino…” “Che dici, al massimo dal pipistrello” “Dal pangolino che ha passato il virus al pipistrello, i cinesi hanno ucciso un pipistrello per mangiarselo e badabum, è nato il Covid”. Io le ascolto affascinata e anche divertita. “Ah ecco, così si è scoperto il paziente zero”. Usano precisamente il lessico entrato in circolo da due anni: pipistrello, pandemia, paziente zero. E anche se sembrano più grandi della loro età anagrafica e potrebbero tranquillamente reggere anche un’intervista televisiva, restano due bimbe, tenerissime, con la voglia di gioco e spensieratezza che trasuda dagli occhi. Ragazze, ve lo ricordate il periodo pre-covid? La risposta è un si entusiasta in coro. Allora rilancio: fatemi degli esempi. E qui però l’entusiasmo si spegne. Nina ci pensa, non le viene in mente niente. Bianca invece mi racconta del suo ultimo campo scuola: “Era proprio il 21 febbraio 2020, la maestra Roberta venne nella nostra stanza e ci disse che dovevamo preparare lo zaino e rientrare a casa prima. Solo due giorni dopo ho capito cosa era successo. Che era per colpa del Covid”. Ora anche Nina ricorda qualcosa: “Il capodanno 2020. Ero a Terlizzi, nel paese d’origine dei miei genitori. Eravamo ad una festa bellissima e spensierata. Non c’erano le mascherine”. “La cosa strana è che io ho una memoria di ferro solitamente – si inserisce di nuovo Bianca – eppure non ho alcun ricordo di noi in classe senza mascherine”.

Dottoressa Bortolotti è normale che questi bimbi, tutti quelli che ho intervistato, non riescano a ricordare? “Il sistema nervoso simpatico, che tanto simpatico non è, è sollecitato dalla paura. Se il cervello percepisce un attacco, risponde con la fuga. La mente dei bimbi sta funzionando così: scappano dai ricordi pre covid perché creano paura”. Cioè dimenticano come reazione di difesa? “Esattamente, quindi sarà difficile recuperare, tornare a sentirsi al sicuro nella normalità di prima sia come ricordo che come abitudini. Dipende tutto da noi adulti. I nostri bambini ci guardano e ci chiedono rassicurazioni”.

Bianca continua a raccontare: “Anche quando guardo un film e vedo che gli attori si abbracciano mi viene da pensare: oddio no non farlo, puoi contagiarti”. Quindi voi non vi abbracciate? “Be noi si perché siamo come congiunte, quasi migliori amiche, ma con gli altri no, ci parlo ma abbracciare no”. Nina e tu? “Con i grandi evito qualsiasi contatto, non li sopporto, non mi fido. Hanno spesso la mascherina sotto il naso… posso capire i bambini piccoli ma i grandi che vedo senza mascherina nei negozi, ma non si fa… il naso è una delle principali vie di contagio, va coperto per non far ammalare gli altri. Ma come fate a non capirlo!”. Informate, responsabili, anche nel loro caso penso a che grande lavoro hanno fatto i genitori. Ma rifletto anche sul fatto che questa generazione porta sulle sue spalle una responsabilità sociale più grande dell’età che hanno. Ok, parliamo di futuro. “Io sono pessimista” ribadisce Nina. “Non riesco a immaginare un mondo diverso da quello che stiamo vivendo” si unisce Bianca. Non dite così. Vabbè dai alleggeriamo, vi va? Parliamo di amore: se viene il vostro principe azzurro e vi chiede un bacio? “Bacio no, no”. Categoriche sia Nina che Bianca. “Anche no” mi riprende Nina, come per dire: ma che domande fai, non lo sai che non ci si può baciare? Poi però ci tengono a spiegare: “Ma solo per il Covid –Nina e Bianca, bellissime – se no avoglia, me lo prenderei il bacetto e me lo porterei a casa”. Ma almeno un abbraccio? “Con la mascherina e le mani disinfettate, si può fare”.

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