Mentre la pandemia rallenta e scendono incidenza e pressione negli ospedali, si fanno i conti con ciò che rimane dopo due anni di Covid-19. Le limitazioni, le rinunce, i traumi e la serie di ‘questo non si può fare’ più difficile da mandare giù soprattutto per i giovanissimi, attaccati ora alla speranza di dire presto addio alla didattica a distanza. Perché la dad, per molti, ha significato e significa ancora chiudersi ed essere più vulnerabile di fronte alle proprie debolezze, dalla dipendenza dai videogiochi ad un malsano rapporto con il cibo. Così, solo poche settimane fa, è iniziato l’anno per migliaia di bambini e adolescenti, isolati, arrabbiati, ansiosi, depressi. Ciò he resta di questi due anni, lo raccontano diversi studi e indagini condotte negli ultimi mesi: i ragazzi sentono la pandemia come parte della propria identità, non riescono a dormire, sono depressi e, più di quanto non accadesse prima del Covid-19, pensano di farsi del male o persino a morire. “I problemi legati al modo in cui si vive la pandemia, riguardano anche i più piccoli. Dai bambini della scuola dell’infanzia ai ragazzi delle superiori” spiega a ilfattoquotidiano.it Simona Trotta, psicologa e psicoterapeuta del reparto di pediatria dell’ospedale Sacco di Milano. Il ruolo dei genitori resta fondamentale, ma ci sono casi in cui è necessario il sostegno di professionisti. In tutta Italia nascono iniziative con cui associazioni e istituzioni mettono a disposizione un supporto psicologico, anche agli adolescenti, mentre “è ancora frammentato il panorama della psicologia scolastica” spiega a ilfattoquotidiano.it il vicepresidente dell’Ordine degli psicologi della Lombardia, Davide Baventore, secondo cui questo servizio “dovrebbe essere istituito per legge dello Stato”. Anche ora che sembra si inizi a vedere la luce in fondo al tunnel, alcuni segnali e gli effetti di ciò che è stato, non dovrebbero essere sottovalutati.

I rischi per bambini e adolescenti – Soprattutto per bambini e adolescenti, ancora alle prese con molte limitazioni. “La didattica a distanza fa paura – spiega la psicoterapeuta Simona Trotta – perché molti ragazzi si chiudono socialmente e capita che mi chiamino i genitori preoccupati perché i figli non escono più di casa. Possono passare giornate a giocare ai videogiochi. Persino nottate, andando incontro all’insonnia. E la mattina fanno fatica: se non c’è la dad neppure si alzano, in caso contrario a volte non partecipano alle lezioni con la scusa della mancanza di connessione”. Da qui il rischio che entrino in gioco la depressione e una serie di disturbi, per esempio quelli legati al comportamento alimentare: “Molti adolescenti, trascorrendo in casa tutto il tempo, mangiano per riempire il vuoto e le ragazze, se mettono su qualche chilo, non vogliono più uscire”. Un problema che non sparisce con la dad. “Non vogliono farsi vedere dai compagni e dagli insegnanti” aggiunge la psicologa. Tutto questo si aggiunge ai sentimenti di rabbia ed esasperazione: “Sono sempre più numerosi gli episodi in cui i ragazzi perdono il controllo e, in casa, esplodono. In alcuni casi lanciando oggetti o alzando le mani contro i genitori. Perché la rabbia toglie lucidità e loro sono arrabbiati con tutto il mondo, genitori, insegnanti, fratelli e sorelle. Credono che nessuno li capisca. E questo riguarda anche i bambini più piccoli”. Cosa si può fare? “È importante che i genitori capiscano come aiutare i figli a verbalizzare le emozioni. Non credo che punirli o sgridarli serva a molto, mentre può essere efficace dire loro che capiamo ciò che stanno provando, comprendiamo che si stanno privando di alcune esperienze e che cercheremo di trovare insieme delle alternative. Bisogna evitare che si chiudano in sé stessi. Il rischio è che, rifugiati nella loro stanza, dopo aver tagliato fuori il resto del mondo, questi ragazzi soffrano di solitudine e, in particolari situazioni di fragilità, possano anche farsi prendere dal panico, arrivando a gesti estremi”.

Parlare con i ragazzi (e gli insegnanti) a scuola In questo momento, però, in Italia la maggior parte dei ragazzi e dei bambini sta frequentando in presenza. Quindi è importante più che mai sfruttare il luogo della scuola per raccontare ed ascoltare. “Mi capita di andare nelle scuole elementari – racconta Simona Trotta – dopo aver avuto dei colloqui con genitori che vedono i loro figli fare molta fatica. Mi confronto con gli insegnanti e, insieme, cerchiamo di trovare un approccio per questi bambini”. Alcune problematiche sono particolarmente evidenti tra i ragazzi che hanno fra gli 11 e i 14 anni, che frequentano le scuole medie. La psicologa e psicoterapeuta Elisabetta Belletti che si occupa di attività clinica con bambini, adolescenti e adulti tra Milano e Varese, svolge anche attività come psicologa scolastica. In una scuola media gestisce uno sportello dedicato ad alunni, docenti e personale scolastico. La maggior parte delle richieste arriva proprio dagli alunni. “Questa è un’età di profondi cambiamenti, fatta di separazioni ed emancipazione, di scoperte e trasgressioni, età in cui molte paure fanno capolino. Il Covid – racconta – e le diverse fasi che hanno caratterizzato questo periodo hanno aggiunto molte variabili a questo processo di rivoluzione interna ed esterna che l’adolescente, per sua natura, vive”. L’emergenza sanitaria, i dati in continuo mutamento, gli attimi di respiro seguiti da nuove paure e restrizioni, l’incertezza e i repentini cambiamenti, che hanno colpito soprattutto il mondo scolastico hanno portato ad una preoccupazione costante e ad un’assenza di certezze e di continuità. “Dalla mia esperienza clinica e scolastica – commenta la psicologa – penso che i ragazzi stiano vivendo sospesi, sono animati da speranza e sogni, ma è come se l’impossibilità di una progettualità concreta, di una continuità, facesse perdere loro motivazione e orientamento”. Al caos che è giusto che un adolescente viva, si è sommato altro caos e lo psicologo scolastico sempre più spesso si trova oggi a gestire situazioni di emergenza, interpellato dai docenti che non riescono più a contenere alcune situazioni connesse alla gestione della classe o di qualche alunno. “Un ulteriore elemento di riflessione – aggiunge la psicoterapeuta – riguarda gli alunni più timidi e insicuri che tendono ad isolarsi di più. Per loro, ad esempio, la mascherina è diventata un potente strumento di protezione dietro cui nascondere se stessi e le proprie emozioni”.

Oltre il Covid Ma non c’è solo il Covid: “I ragazzi non hanno più voglia di parlare di pandemia e di tutto ciò che ad essa è connesso. Nonostante le evidenti fatiche, gli adolescenti esistono ancora e parlano di amori finiti o non corrisposti, di sogni, ansie da prestazione, insicurezze corporee, rabbia verso le regole imposte dai genitori, di libri, musica e prime esperienze”. È certamente un segnale di speranza quello emerso nel corso di un progetto condotto a scuola lo scorso anno: “Avevo notato una maggior facilità dei ragazzi a pensare e verbalizzare emozioni e sensazioni negative piuttosto che quelle positive, nonostante l’evidente voglia di non parlare più di Covid, ma dopo un po’ la loro fatica si è trasformata in entusiasmo e dare voce ai loro desideri e sogni è stato un momento di scambio molto importante per tutti. Credo sia importante aiutarli a ritrovare quella dimensione sociale e di spensieratezza che aiuta la loro evoluzione”. Occorre, dunque “spostare l’attenzione, non per negare il problema, ma per attivare le risorse”.

Un supporto necessario Nel frattempo, proprio mentre a livello nazionale veniva stralciato dalla legge finanziaria il bonus psicologo, in tutto il Paese si mettono in piedi diverse iniziative. A Milano, per esempio, il Municipio 9, in collaborazione con l’Ordine degli psicologi della Lombardia, ha lanciato il bonus psicologo per i giovani dai 10 ai 25 anni, attraverso il quale le famiglie potranno partecipare a un bando e ricevere una card che permetterà loro di usufruire di 3 o 4 prestazioni gratuite con professionisti che lavorano all’interno del Municipio o in strutture che verranno messe appositamente a loro disposizione. “Quello della psicologia scolastica, invece – spiega il vicepresidente dell’Ordine degli psicologi della Lombardia, Davide Baventore – in Italia è un panorama ancora frammentato e disomogeneo dal punto di vista della copertura e della continuità del servizio”. L’autonomia scolastica, infatti, conferisce agli istituti la facoltà di decidere “se inserire o meno tra le attività previste anche l’attivazione del servizio di psicologia scolastica, lasciando così una grande discrezionalità nella scelta”. Ogni professionista, inoltre, viene selezionato dalla scuola con un bando pubblico che al massimo ha durata annuale. In questo modo uno psicologo che in una scuola “ha costruito rapporti di collaborazione con il dirigente scolastico, il corpo docente e il personale scolastico e conoscendo i gruppi classe dell’istituto – aggiunge Baventore – potrebbe non esser più selezionato l’anno successivo perdendo il capitale di relazioni e di conoscenze maturato in quell’istituto”.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Reddito di cittadinanza, lo Stato con una mano dà e con l’altra toglie. L’Inps conferma: tagliato a invalidi e anziani poveri che hanno avuto un aumento delle pensioni

next
Articolo Successivo

Giornata contro le mutilazioni genitali femminili: 5mila bambine a rischio in Italia. “Prevenzione? Serve rete fra scuole e consultori. E dialogo contro l’isolamento”

next