Il 15 febbraio la Corte costituzionale ha bocciato il quesito per un referendum sull’eutanasia perché “non preserva la necessaria tutela della vita umana”. I comitati promotori avevano raccolto un milione e 200mila firme in pochi mesi e protestano per quella che, secondo loro, è una “decisione politica da parte della Consulta”. I leader del fronte progressista, dopo aver deciso di non esporsi durante la campagna referendaria, ora invocano una legge. Il ddl sul Suicidio assistito è in discussione a Montecitorio, ma il testo è già stato fortemente annacquato dai partiti (ad esempio riconosce l’obiezione di coscienza) e secondo i promotori del referendum è un “passo indietro rispetto a quanto già concesso sul fine vita dalla sentenza Dj Fabo\Cappato“. Senza dimenticare che manca poco più di un anno alla fine della legislatura ed è molto difficile che le forze politiche riescano a trovare in tempo un accordo sul tema.

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di Roberto Maccaroni*

Mio padre aveva la SLA. Abbiamo deciso di portarlo a casa il prima possibile dall’ospedale, volevamo stesse con noi. Abbiamo attrezzato la cameretta mia e di mio fratello come fosse una piccola rianimazione, con il supporto prezioso proprio dell’ospedale in cui era ricoverato.

E’ stato lì otto anni, in quella stanzetta dove adesso rimangono ancora alcuni santini attaccati al muro, che non mi pare siano serviti a granché.

Otto anni, quasi 3000 giorni, di 24 ore.

Avevo 16 anni, e ho cercato di provarci, quasi per gioco, e il gioco aveva le sue regole: mettiti sul letto, supino, stai immobile, non muovere un muscolo, non puoi chiudere neanche gli occhi (papà non riusciva, dovevamo chiuderli con lo scotch), non muovere le dita delle mani e dei piedi, non muovere la testa, neanche la bocca. Qualsiasi cosa succede non muoverti mai, non emettere suoni. Ti muovono gli altri, come gli pare, quando gli sembra ora, ascolta tutto dei tuoi figli, moglie, parenti, amici (le orecchie funzionano quasi fino alla fine), litigate, commenti, momenti belli in famiglia, cazzi da risolvere. Ma tu non muoverti mai, non parlare. Pensa solo. Ho provato, con scarsa costanza. Papà ha dovuto, 3000 giorni.

In realtà non è vero, per un po’ di tempo lui un sopracciglio (il destro mi pare) è riuscito a sollevarlo un po’. Era la sua parola. Alla fine degli anni Novanta non avevamo ancora trovato i sintetizzatori vocali né quelle lavagne scritte che andavano con lo sguardo, che poi tanto lui gli occhi non li girava. Il sopracciglio. Il sopracciglio era il nostro linguaggio. Se ti mettevi con pazienza cominciavi a dire tutte le lettere dell’alfabeto, una alla volta, quando alzava il sopracciglio era la lettera giusta.

Altro gioco. In cui peraltro ero diventato bravissimo, dopo la “D” non può esserci una “T”, dopo la “Q” c’è quasi sempre una “U”, si andava molto più spediti. Verso i miei 18 anni, il gioco però ha cominciato a non piacermi molto. “A…B….C….” e cosi via. Ok “S”. Poi? “A…B…C..”.

Alla fine sarà “STACCATEMI IL RESPIRATORE”.

Eh no. Eh no cazzo, siam qui che ti smerdiamo ogni giorno pà, io mamma e Simone, ti giro per non farti venire le piaghe, il pappagallo a ogni ora, ti pulisco il culo alle sei del mattino prima di andare a scuola. Ho imparato pure a broncoaspirare e a usare l’Ambu se va via la corrente e il ventilatore non funziona. Staccatemi la macchina proprio no, adesso tu fai il bravo, stai in vita e ringrazi pure. E comunque non chiederlo a tuo figlio, cazzo. Non chiederlo a tua moglie. Loro… noi non ce la faremo mai ad ammazzarti, lo capisci?

E così, di lì a un po’, ogni volta che il sopracciglio componeva le lettere “STAC…” ognuno di noi troncava la frase, bofonchiava qualche frase di riprovazione, e se ne andava. Quel sopracciglio aveva cominciato a rompere le palle, troppo spesso, troppo insistentemente.

Sei morto esattamente vent’anni fa. Niente pà, volevo solo dirti che quel sopracciglio, ancora, dà un sacco di fastidio. Non lo tollerano. Devi continuare a fare il bravo, stare in vita, e possibilmente ringraziare. Ci scusi?

*Infermiere, ha partecipato con Emergency a missioni in Sierra Leone, Libia, Afghanistan e Yemen e oggi ne cura la formazione del personale a Milano. Questo intervento è a titolo personale e non rispecchia necessariamente la posizione della Ong sul tema.

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