Cinema

Berlinale, il matriarcato e la ‘Ndrangheta nel film ‘Una femmina’ di Francesco Costabile, tratto dal libro di Lirio Abbate

Opera d'esordio del regista calabrese, riprende il testo di Abbate Fimmine Ribelli - Come le donne salveranno il Paese dalla ‘Ndrangheta, edito da Bur Rizzoli. Nelle sale dal 17 febbraio, è stato presentato nella sezione Panorama del festival di Berlino

di Anna Maria Pasetti

L’Aspromonte più dark mai visto al cinema. E l’anima nera dell’anfratto più arcaico, roccioso, e forse più intimamente violento d’Italia, non poteva che essere “femmina”, perché tale è l’eterna matriarca che delibera della vita e della morte dei suoi cari, amici e nemici. Ruvide e impermeabili come la pietra dei monti calabri, le donne dei clan criminali raccontate da Lirio Abbate in Fimmine Ribelli – Come le donne salveranno il Paese dalla ‘Ndrangheta (edito da Bur Rizzoli) sono diventate il film di finzione d’esordio di un regista di talento calabrese, Francesco Costabile, emblematicamente titolato Una femmina. Il lavoro è stato calorosamente celebrato la sera del 13 febbraio nella sezione Panorama della 72ma Berlinale dove concorre. Abbate stesso ha co-adattato la sceneggiatura dal proprio libro, firmando ovviamente il soggetto insieme al cineasta Edoardo De Angelis (compagno studi in regia al Centro Sperimentale di Cinematografia di Costabile in un’annata di notevoli talenti che ha visto anche Claudio Giovannesi e Francesco Amato) che il film ha voluto anche co-produrre.

Al centro è l’evoluzione “personale e professionale” di Rosa (la debuttante Lina Siciliano), figlia di madre massacrata dalla sua stessa famiglia di “infami”, vittima e carnefice di una guerra fra clan aspromontini, portatrice di un sangue avvelenato e velenoso che si trasmette di generazione in generazione. La ragazza imparerà ben presto che ogni scelta diversa dal paradigma criminale va pagata a carissimo prezzo.

Al di là di una drammaturgia intimamente ispirata alla tragedia classica, da elogiare del film di Costabile è la scelta di optare per una regia autoriale ma ben sintonizzata sui generi cinematografici a tinte dark: dal thriller al noir, fino al vero e proprio horror. E ciò è palpabile dalla prima e densa scena, che parte con un lungo primissimo piano sulla nonna-matriarca Berta impegnata in una conversazione telefonica-chiave con la figlia Cetta: è l’ingresso in un vortice teso e claustrofobico, l’obiettivo dimezzato tra il fuoco e lo sfocato. Siamo nei territori dell’incubo attraversato da una ragazzina determinata a combattere oblio e rimosso per restituire l’espressione “personale giustizia” al vocabolario famigliare e criminale.

Seppur solido sul punto di vista di Rosa, Una femmina è un’opera di sostanza corale che riguarda un gineceo di vittime, carnefici ed eroine. Rosa, come mamma Cetta, nonna Berta e zia Rita, sono le donne nere che conoscono l’odore del sangue e sfilano nella processione mariana di un paese diroccato fuori dal Tempo e dalla Storia, un luogo certamente dimenticato da Dio ma non dal talento di chi lo sa trasformare in cinema vivo. Una femmina sarà nelle sale italiane distribuito da Medusa il 17 febbraio.

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