Il pm di Milano Paolo Storari, imputato a Brescia con l’ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo per il caso dei verbali dell’avvocato Piero Amara, ha chiesto di essere processato con rito abbreviato. La richiesta è stata presentata stamane al giudice per le indagini preliminari, Federica Brugnara. che ha stralciato la posizione del pubblico ministero che risponde di rivelazione del segreto d’ufficio, reato contestato anche a Davigo nei cui confronti proseguirà l’udienza preliminare. Sia per Storari che per Davigo si tornerà in aula il prossimo 17 febbraio (30° anniversario dell’inizio di Mani pulite). L’ex consigliere del Csm è stato interrogato come da sua richiesta. Nel procedimento è parte civile Sebastiano Ardita, altro componente, ancora in carica, del Csm, che si ritiene danneggiato dalla diffusione di quei verbali.

“Tutto quello che ha fatto, lo ha fatto nel rispetto della legge” la posizione di Davigo così come sintetizzata dall’avvocato Francesco Borasi. I due magistrati sono imputati per il caso della consegna dei verbali segretati dell’ex avvocato esterno di Eni condannato per corruzione in atti giudiziari e indagato da più procure, sulla presunta loggia Ungheria che Storari consegnò a Davigo nell’aprile 2020 per “autotutelarsi” dalla presunta inerzia dei vertici della procura di Milano. Sul punto il gip di Brescia che ha archiviato l’indagine a carico dell’ex procuratore Greco ha detto che la procura non fu inerte.

In base al capo di imputazione Davigo, difeso dall’avvocato Francesco Borasi, “consegnava, informalmente e senza alcuna ragione ufficiale, ma al solo scopo di motivare la rottura dei propri rapporti personali con il consigliere Sebastiano Ardita, copia degli atti in questione al consigliere del Csm Giuseppe Marra, dopo averlo informato del loro contenuto, incaricandolo di custodirli e di consegnarli al comitato di Presidenza, qualora glieli avesse richiesti”. Oltre a ciò avrebbe riferito a un altro componente del Consiglio Superiore della Magistratura, Ilaria Pepe, “sempre in assenza di una ragione ufficiale, ma per suggerirle di ‘prendere le distanze dal consigliere Ardita, il contenuto delle dichiarazioni rese” da Amara, “invitandola a leggerle; riferiva, in assenza di una ragione d’ufficio, al dichiarato scopo di ottenere un giudizio sull’attendibilità” di quei verbali che gli erano stati consegnati da Storari per “autotutelarsi”, a suo dire, dal rallentamento alle indagini voluto dai vertici della procura di Milano.

Secondo l’accusa avrebbe parlato, pur in modo confidenziale, delle dichiarazioni di Amara al senatore Nicola Morra ad altri consiglieri del Csm, come Giuseppe Cascini, Fulvio Gigliotti, Stefano Cavanna – al quale avrebbe detto che nell’indagine sulla presunta loggia era “coinvolto” Ardita- e il vice presidente David Ermini, al quale avrebbe dato “copia degli atti (…), al di fuori di qualunque ufficialità al punto che Ermini, ritenendo irricevibili quegli atti ed inutilizzabili le confidenze ricevute, immediatamente distruggeva detta documentazione”.

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