Le mutilazioni genitali femminili (Mgf) sono definite nel documento Care of girls and women living with female genital mutilation, pubblicato nel 2018 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), come tutte quelle procedure che coinvolgono una parziale o totale rimozione dei genitali esterni, o altri tipi di lesioni, per motivi non medici.

L’Oms classifica quattro principali tipi di Mgf. Il primo tipo riguarda la rimozione parziale o totale del clitoride e/o del prepuzio (clitoridectomia); il secondo tipo identifica i casi di parziale o totale rimozione del clitoride e delle piccole labbra che può essere accompagnata o meno dall’escissione delle grandi labbra; il terzo tipo è caratterizzato dal restringimento dell’apertura vaginale attraverso il taglio e la cucitura delle piccole o delle grandi labbra con o senza l’escissione del clitoride (infibulazione); infine, nel quarto tipo sono riunite tutte le altre procedure dannose per i genitali femminili, condotte con scopi non medici. Inoltre, ogni tipo è ulteriormente articolato in sottotipi.

Tuttavia, a partire da queste definizioni dell’Oms vengono a galla alcune criticità di fondo. Innanzitutto, ci si può chiedere che senso abbia utilizzare il termine ombrello “Mutilazioni Genitali Femminili” per descrivere delle situazioni tra di loro così eterogenee. Infatti, una clitoridectomia parziale da un punto di vista medico e anatomico risulta certamente più vicina a un piercing al clitoride rispetto a un’infibulazione. Si potrebbe quindi pensare che il contenitore che fa sì che le mutilazioni genitali femminili vengano accomunate sotto quest’unico nome sia la motivazione sottostante. Tuttavia, anche in questo caso, come lo stesso documento dell’Oms sottolinea, vi è talmente eterogeneità da rendere difficile trovare fattori comuni.

Ciò che davvero tiene in piedi questa definizione sembra essere l’implicito accordo sul fatto che si tratti di donne non occidentali che subiscono – riprendendo il termine usato dal documento Oms e che rimanda a una dimensione di passività – questi interventi sotto la spinta di una pressione culturale che noi occidentali percepiamo tendenzialmente come più vincolante di quella a cui siamo sottoposti noi. Se così non fosse, come rilevato anche dal documento Mutilations Sexuelles: déconstruire les idées reçues pubblicato da Gams (Groupe pour l’Abolition de Mutilations Sexuelles) Belgique (2016), saremmo tenuti a considerare Mgf anche i frequenti interventi di chirurgia estetica, ad esempio l’accorciamento delle piccole labbra, in quanto non guidati da motivi medici.

In conclusione, quindi, le mutilazioni genitali femminili sono un fenomeno complesso, di cui il mondo occidentale si interessa in misura sempre maggiore per via del contatto con culture diverse favorito dai processi migratori. Tuttavia, parlando e trattando di questo tipo di pratiche, va sempre tenuto a mente il vizio della nostra cultura che ci porta a creare una netta separazione tra pratiche occidentali, interpretate alla luce della libertà di espressione individuale, e pratiche non occidentali, additate invece come barbarie. Questa consapevolezza non cancella i possibili effetti negativi sulla salute e sul benessere delle mutilazioni genitali femminili, ma è il necessario punto di partenza in ogni situazione di confronto tra culture e pratiche differenti per riuscire ad arrivare effettivamente alle persone e farsi carico realmente della promozione del benessere. Il tema della necessità di uno sguardo attento a non cadere nelle distorsioni tipiche dei modelli culturali occidentali non riguarda solo le mutilazioni genitali femminili, ma è sempre più saliente e pervasivo e viene efficacemente affrontato da Luigi Anolli, autore particolarmente impegnato nell’ambito della psicologia culturale, in La sfida della mente multiculturale: nuove forme di convivenza (2011).

Ringrazio per la collaborazione la dr.ssa Martina Maurella

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