Ha fatto molto parlare di sé il sindaco di Terni, seconda provincia umbra, dopo l’ordinanza emanata in materia di decoro urbano e vivibilità dei luoghi con contrasto al fenomeno della prostituzione.

A suscitare scalpore, non solo da parte dell’opposizione ma anche da alcune associazioni in difesa dei diritti delle donne, è stato non tanto l’obiettivo del provvedimento quando la modalità con cui deve essere applicato: nello stesso infatti è scritto che è fatto divieto a chiunque di “porre in essere comportamenti diretti in modo non equivoco ad offrire prestazioni sessuali a pagamento, consistenti nell’assunzione di atteggiamenti di richiamo, di invito, di saluto allusivo ovvero nel mantenere abbigliamento indecoroso o indecente in relazione al luogo ovvero nel mostrare nudità, ingenerando la convinzione di esercitare la prostituzione. La violazione si concretizza con lo stazionamento e/o l’appostamento della persona e/o l’adescamento di clienti e l’intrattenersi con essi e/o con qualsiasi altro atteggiamento o modalità comportamentali, compreso l’abbigliamento, che possano ingenerare la convinzione che la stessa stia esercitando la prostituzione”.

Bisogna precisare che Terni non è il solo comune italiano ad aver emanato questo tipo di provvedimenti, ad esso si uniscono anche quelli di Perugia, Rimini, Riccione e molti altri sparsi in tutto il Paese. Il caso del sindaco di Terni ha avuto più impatto mediatico e quindi è entrato nel centro del ciclone.

Le riflessioni su questo tema, è giusto precisarlo, non riguardano l’intenzionalità dell’ordinanza in sé; dopotutto, benché rimanga comunque lecita la prostituzione se effettuata da singole persone in un appartamento, l’articolo 5 della legge Merlin del 1958 e ancora in vigore proibisce il “libertinaggio” inteso come offesa al pudore urbano. Inoltre è illegale l’organizzazione sotto ogni sua forma di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. È giusto perciò che il primo cittadino di una città faccia rispettare la legislatura vigente, ma non è corretto affermare che un atteggiamento, un saluto o un determinato abbigliamento possano essere associati alla prostituzione, nel rispetto di chi, in pieno possesso del proprio diritto di esercitare la libertà, può vestire e fare ciò che vuole se questo non comporta un danno ad altre persone.

Un altro punto che rimane in sospeso è con quali criteri siano valutati le modalità comportamentali, l’abbigliamento e lo stazionamento della persone affinché si possa pensare che si stiano prostituendo, nel senso: quando una gonna diventa troppo “mini”, un saluto troppo ammiccante o una sosta troppo lunga per legittimare la polizia a multare una ragazza?

Per anni organizzazioni ed enti si sono battuti in difesa dei diritti delle donne, per la loro emancipazione a livello sociale e lavorativo; questa purtroppo è una conferma del fatto che non abbiamo ancora ben capito come funziona il fenomeno “prostituzione” e non sappiamo come gestirlo: se combattere la prostituzione in nome del decoro urbano vuol dire sanzionare chi, in un determinato posto e in un determinato periodo, si veste in modo provocatorio o aspetta sul marciapiede un passante, allora è lecito pensare che non solo la persona comune ma anche una prostituta siano trattate più come “spazzatura” che come individui. Quest’ultima, ci esprimiamo al femminile ma in realtà il fenomeno è esteso ad ogni genere ed identità sessuale, avrebbe più il diritto di essere difesa che di essere multata, considerando il fatto che la sanzione è una punizione diretta a lei e non a chi, qualora ci fosse, la sfrutta o fa del suo corpo un tornaconto per il proprio profitto.

Un altro punto è importante affrontare: quello della totale omologazione dell’esercizio della prostituzione associata ai soli individui di sesso femminile. Premesso il fatto che si prostituiscono più donne che uomini, questo non vuol dire che quest’ultimi non ci siano, quindi in un certo senso basterebbe indossare dei pantaloni lunghi e un cappotto per evitare di essere attenzionati dalle forze dell’ordine o magari far fermare i propri clienti in modo da non intralciare il traffico. È facile capire come non ci sia ancora la piena consapevolezza di come funzioni l’identità sessuale e delle molte sfaccettature che fanno di una persona un uomo, una donna, una persona transgender o altro.

Nel pieno interesse per il benessere della popolazione, che passa anche tramite la salute sessuale, e in quanto professionista sanitario, ritengo che questo tipo di tematiche debbano essere affrontate con più consapevolezza di ciò che si sta promulgando e del messaggio che deve passare ai cittadini: se si vuole tutelare il territorio e il decoro che una città merita, non è lecito screditare delle persone con delle concezioni stereotipate su un fenomeno così importante (si dice vecchio come il mondo) come la prostituzione; sarebbe quindi un bene distinguere la tutela dei luoghi dai diritti degli individui.

Si ringrazia per la collaborazione il dr. Matteo Agostini

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