Alla fine il ministro dell’Istruzione ha deciso: saranno due gli scritti alle scuole superiori. Oltre al tema, reintrodotto a gran voce, una seconda prova “attinente una disciplina d’indirizzo che verrà scelta dalla commissione d’esame, composta da sei commissari interni e un presidente esterno”. La notizia ha scatenato i gruppi whatsapp degli studenti e poi telefonate su telefonate, nelle quali a far da padrona è la preoccupazione per un esame diverso da come si era immaginato, ma anche dal passato.

Già, perché per qualche settimana i ragazzi avevano accarezzato l’idea che non ci fosse neppure il tema. E ora la notizia della doppia prova ha le sembianze della classica doccia gelata, anche se in realtà non lo è. Pur considerando il percorso accidentato degli ultimi due anni e le difficoltà che la pandemia ha causato provocando evidenti deficit nella preparazione di quasi tutti, ma anche nella stabilità emotiva di molti.

Metabolizzata la novità, non si può far altro che mettersi a lavorare, in prospettiva. Insomma con lo sguardo alzato, rivolto all’appuntamento fissato: i prossimi mesi saranno importanti, forse più di quelli che sono trascorsi. E l’intensità con la quale gli insegnanti sapranno innervare ogni singola lezione, a scuola, sarà decisiva, non solo per preparare i ragazzi ad affrontare le diverse prove ma, soprattutto, per farli crescere. In questo spazio temporale, compreso tra la scelta di oggi e il 22 giugno quando ci sarà il tema, i ragazzi hanno la possibilità di farsi davvero persone, a prescindere dal risultato delle loro prove, a prescindere dal voto finale – che a differenza di quanto è stato, almeno fino al 2019, non scaturirà da prove scritte uguali sull’intero territorio nazionale.

In realtà il tema avrà alcune delle tracce in comune, senza distinzione, che invece ci sarà per la seconda prova, motivo per il quale quella di un liceo classico di Roma sarà differente non soltanto da quella di un liceo di un’altra città, ma anche da quella di un altro istituto romano. Nelle intenzioni del ministro Bianchi, certo, il desiderio di fornire un aiuto. Piuttosto che un’unica prova, indipendentemente da quanto svolto durante l’anno, lasciare alle commissioni interne la scelta, evidentemente tenendo conto delle programmazioni svolte. Un desiderio lodevole, peccato che alla fine creerà delle differenze anche nei risultati finali.

Perché? Semplice. Perché la seconda prova, il cui risultato concorrerà a determinare il voto finale, offrirà difficoltà variabili, da scuola a scuola. Motivo per il quale l’80 di Pietro ottenuto al liceo classico x di Avezzano avrà necessariamente un peso differente rispetto allo stesso voto di Lucia al classico y di Caserta. Non che nella fase pre-Covid non esistessero votazioni uguali ma di “peso” differente, ma allora contribuivano motivazioni per cosi dire, interne, come la capacità o meno di ciascuno di dimostrare le proprie conoscenze, riuscendo a governare le emozioni oppure facendosene sopraffare, ad esempio.

Nell’esame 2022 ci saranno anche motivazioni esterne. La scelta di far scegliere a ogni scuola la seconda prova prevede il peso differente del voto finale. Potrà sembrare una questione marginale, in realtà non lo è. Proporre prove eque è giusto, prevedere differenze che alimenteranno dei distinguo è una piccola-grande ingiustizia pensata dal Ministero, non toccata in sorte.

La maturità dovrebbe essere un banco di prova anche per saggiare la complessità raggiunta dai ragazzi, nel loro pensare innanzitutto. La maturità dovrebbe sembrargli una bilancia che pesa senza trucchi, senza tare precostituite. La speranza dunque è che alla fine non siano in troppi a rimanere delusi, dopo aver fatto dei confronti. Il voto della maturità può non cambiare la storia professionale, ma di certo può incidere sull’autostima e pesare per tutta la vita.

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