Nel primo pomeriggio dell’ultima giornata di gennaio, su tutto il suolo italico, si deve essere avvertito un fortissimo duplice fragore. Un movimento tellurico registrato anche dall’istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, un suono acuto che sfugge ad ogni classificazione in decibel. Mancava solo che si facesse buio su tutta la terra. E’ stata la reazione composta e dignitosa degli studenti di quinta superiore alle notizie sull’Esame di Stato.

A nulla sono valsi gli accorati appelli, il ministero si è mostrato insensibile al grido di dolore che da tanta parte d’Italia, con letterine e raccolte di firme, impetrava l’abolizione degli scritti. Gli scritti ci sono eccome. Il temutissimo tema, declinato in sette sfumature di panico e la seconda prova, benignamente predisposta da giubilanti commissioni interne sul programma effettivamente svolto. Il fatto che all’orale sia stata abolita la tesina, cioè quella fantasiosa accozzaglia multidisciplinare fondata su collegamenti virtuosistici e circensi da cui abitualmente si partiva, consentendo ai candidati di iniziare a muoversi su di un terreno noto, non è ancora stata metabolizzata. L’assimilazione della notizia causerà svariate scosse di assestamento.

Comunque tornano gli scritti. Parte del fragore di ieri è venuto non solo dagli alti lai, ma anche dal giubilo di quanti hanno esultato al grido di “era ora, così imparano, che ‘sti ragazzi di oggi non sanno scrivere”. Basterebbe fare un giro, leggendo i commenti dei leoni da tastiera su di un social qualsiasi, per rendersi conto che comunque non sono soltanto i giovani d’oggi ad arrancare con lo stilo in mano. E non vorrei essere cinica, ma credo di poter ragionevolmente fare due previsioni, su questa maturità del rigore rinnovato.

La prima è che non sarà molto diversa dalle altre. Una volta decretate le ammissioni all’esame, come al solito chi abitualmente studia ne uscirà bene, gli altri meno. La seconda è che la reintroduzione degli scritti, in primis del tema di italiano, non migliora di molto le competenze nella produzione scritta. Non è una rivoluzione, è solo un tema. Uno. A cui si arriva spesso poco avvezzi dopo anni di una scuola che punta sempre di più a valutazioni strutturate, sintetiche, a scelta multipla. A cui si arriva – in molti casi, ma fortunatamente non tutti – senza l’abitudine al silenzio, alla rielaborazione del pensiero, ai molteplici tentativi per ricercare il termine più adatto, senza il costante esercizio, che costa prove a volte fallimentari, un esercizio che deve partire molto presto o si corre il rischio di vedere incancrenire errori sempre più difficilmente estirpabili con il passare degli anni.

Vorrei davvero condividere l’entusiasmo di quanti, con evidente soddisfazione, vedono nelle scelte per questa maturità il ritorno trionfale ad una scuola severa e selettiva, ma mi sembra invece un modo per dire che è tornato tutto a posto quando invece a posto non è ancora tornato nulla, nemmeno gli studenti dalle quarantene. Avessero avuto il coraggio di cambiare, al Ministero, avessero osato. Avessero detto con audace motto “classi più piccole e più pensierini in seconda elementare”, ecco, quella sì sarebbe stata una innovazione coraggiosa e lungimirante. Sarà per la prossima volta. Intanto, ai maturandi sgomenti mi sento di mandare un messaggio tranquillizzante: se c’è una cosa che abbiamo imparato tutti a fare, in questi due anni, è a cavarcela, nonostante tutto. Quindi tranquilli, ve la caverete.

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