Erano passati appena vent’anni dalla nascita dell’Italia unita, quando nel 1881 uscivano a distanza di pochi giorni due libri destinati a diventare dei classici: Cuore di Edmondo De Amicis e Pinocchio di Carlo Collodi (che in realtà si chiamava Lorenzini). Diversi, certo – il primo era un romanzo con personaggi credibili, il secondo una fiaba popolata da figure fantasiose – ma accomunati da un intento importante, per quell’Italia unita che era stata fatta senza che ancora fossero stati fatti gli italiani.

L’intento era quello pedagogico. Nel caso di Cuore si trattava di insegnare ai giovani lettori l’importanza di formarsi un’anima moralmente degna, perché rispettosa del prossimo come anche delle leggi. Quindi l’alto valore della patria e della sua onorabilità, tutti princìpi riconducibili a una cultura politica più conservatrice e di destra. Nel caso di Pinocchio, invece, l’intento pedagogico era assai diverso, oltre che poco evidente perché meno segnalato dalla letteratura critica. Collodi, infatti, da buon toscanaccio anarchico, era stato per tutta la vita un fervente sostenitore di Giuseppe Mazzini, cioè di colui che, a motivo delle sue idee e azioni fieramente repubblicane e popolari, diede sì un contributo fondamentale alla nascita dello Stato unitario italiano, ma al contempo subì molteplici processi e arresti, trascorrendo tutta la sua vita in una latitanza che si interruppe soltanto con la morte.

Questa vena anarchica si era perfettamente tradotta nella fiaba, dove accanto alle vicissitudini del bambino/burattino – con tutta la morale che sappiamo annessa – trova spazio l’ironia più tagliente e irriverente contro le figure istituzionali. Ossia contro quei rappresentanti dello Stato che si rivelano corrotti, ingiusti, ridicoli e inadeguati a svolgere le funzioni che sono stati chiamati a ricoprire. Non dimentichiamo che già in quegli anni l’Italia si distingueva per l’ignobile trasformismo dei politici, nonché per la corruzione diffusa a ogni livello, tanto che alcuni degli scandali che ne sono scaturiti compaiono ancora oggi sui libri di storia. Nel voler educare i bambini di quel tempo ai valori di una buona nazione, De Amicis e Collodi scrissero due capolavori. Tuttavia senza riuscire a incidere granché sul livello etico degli italiani.

Lo vediamo anche oggi, oggi che i rappresentanti del popolo ci stanno proponendo l’ennesimo teatrino vergognoso sull’elezione del presidente della Repubblica. Sì, mentre il paese annaspa in una crisi economica senza precedenti, mentre l’inflazione cresce vertiginosamente, insieme alle bollette e alle difficoltà esistenziali di milioni persone, i nostri parlamentari si dilettano con giochetti vergognosi. Alcuni hanno scritto sulla propria scheda di voto il nome di una pornostar, altri di conduttori televisivi, attori, campioni dello sport. La maggior parte, invece che col ridicolo, ha condito questa triste vicenda con l’ipocrisia: votando scheda bianca.

Tutto questo senza contare che i nomi a oggi più papabili, per l’elezione alla presidenza della Repubblica, sono un signore che si fa ricordare soltanto per il trasformismo vergognoso con cui ha cambiato casacca partitica, a esclusivo tornaconto personale (Pierferdinando Casini), e una signora (Maria Elisabetta Casellati) la cui uscita più memorabile è stata quella con cui intervenne pubblicamente a difesa di Silvio Berlusconi, quando costui convinse tutto il parlamento italiano a bersi la storia della nipote di Mubarak. Seguì un voto del Parlamento che umiliò le istituzioni e svergognò il paese agli occhi del mondo.

Una classe politica di tal fatta sarebbe inadeguata in qualunque paese serio del mondo, ma non in Italia, dove bisogna riconoscere che anche una larga fetta di popolazione non può vantare una caratura etica più elevata. Sto parlando dello stesso popolo che ha votato Berlusconi per un ventennio, e che ancora oggi non fa una piega di fronte alle performance vergognose di cui danno prova i suoi rappresentanti presso le istituzioni.

Li abbiamo celebrati da poco, i 140 anni della favola del burattino che sognava di diventare bambino. Proprio nel momento in cui ci ritroviamo a vivere la tragedia di un intero popolo che si sta trasformando in burattino.

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