Il virus corre veloce soprattutto tra i non vaccinati. Ma i non vaccinati non sono solo no vax. “Irene 2 anni e mezzo, va al nido in una classe di 27 bambini”. “Cloe 5 anni e Edoardo 2 anni. Entrambi sono in classi di 26 bambini”. “Cesare, 2 anni, anche loro sono 26 in tutto nella sezione medi”. “Caterina ha 2 anni e mezzo, ogni giorno in aula con altri 27 bimbi”. “Diego, 5 anni, scuola dell’infanzia, 22 bambini”. “Antonello e Francesca, 20 mesi, sezione da 21 bambini”. “Edoardo, 2 anni e mezzo, classe di 30”. Siamo a Roma. Tutte scuole materne e nidi pubblici. Ti aspetti che proprio qui dentro ci siano protocolli chiari e uguali per tutti, soprattutto dopo due anni di pandemia e poche certezze. Una su tutte: evitare gli assembramenti. Invece ogni mattina Irene, Cloe, Caterina, Cesare, Edoardo, Antonello, Francesca, Diego e quelli che come loro frequentano altre con la stessa situazione di sovraffollamento, senza mascherine passano la giornata in nuclei fino a 30 bambini con 5/6 educatrici che anche se fossero le migliori del mondo certamente non avrebbero alcuna possibilità di tenere divisi e distanti i piccoli e riuscire a controllare tutti.

L’incontro con queste mamme nasce per caso, dopo un mio post su facebook del 9 gennaio scorso: “Domani riaprono le scuole. Abbiamo preso una decisione difficile. Non manderemo subito Valerio al nido comunale che frequenta da settembre scorso. Attenderemo ancora una settimana, per capire cosa accadrà, come cresceranno i contagi. E poi valuteremo. I piccolini come lui non hanno il vaccino, non portano le mascherine e anche se le maestre fanno tutto ciò che possono per garantire la loro sicurezza, gli spazi a disposizione sono limitati e loro sono poche a gestire contemporaneamente gruppi anche di 10/15 bambini”. È cosi che ho scoperto che mio figlio Valerio rispetto a tanti altri è addirittura fortunato, pur frequentando anche lui un nido comunale, pubblico: la sua classe è composta da 11 bimbi, anche se per mancanza di supplenti basta che una maestra si assenti che due classi vengono accorpate e di colpo diventano 22.

Ida Palumbo, mamma di due gemelli di 20 mesi, Antonello e Francesca, commenta così il mio post. “I miei vanno al nido comunale La Porta Magica e altro che 10/15 bimbi, loro in classe sono 21”. Le chiedo un contatto, me lo manda, la chiamo. Mi spiega che sono in tanti nella sua stessa situazione e io stento a credere come sia possibile che non ci siano regole uguali per tutti. Da settembre Ida e molti altri genitori nella sua stessa situazione portano avanti una battaglia perché vengano ripristinate le cosiddette bolle, cioè classi di massimo 7 bambini, pensate proprio per ridurre i rischi del contagio. L’anno scorso erano state istituite obbligatoriamente per tutti e – ancora oggi diversi nidi e materne pubbliche a Roma e in Italia hanno mantenuto la giusta disposizione, peccato però che molte altre no. La solita fotografia dell’Italia a macchia di leopardo: alcune esperienze virtuose, altre fanalino di coda dei diritti minimi. In mezzo i diritti sacrosanti di questi bambini. “Classi così affollate erano un problema già prima del Covid – commenta Flaminia Cotone, un’altra mamma che come Ida si batte per il ripristino delle bolle – Con 27/30 bimbi tutti insieme qualsiasi progetto educativo è minato. Oggi c’è l’aggravante del contagio e della mancata tutela della salute dei nostri figli.”

Andiamo con ordine. Ida mi presenta Flaminia e tante altre mamme. Accettano di raccontare la propria condizione, ci mettono la faccia. “Perché l’anno scorso le bolle erano necessarie e quest’anno no? Ci hanno detto che la misura non era più proporzionale al pericolo. Non mi sembra abbiano ragione visti i dati che diffondono ospedali come il Bambin Gesù o l’associazione dei medici pediatri. Ci sono allarmi ogni giorno sul contagio Covid tra i piccoli”. Il virus circola veloce, è vero. Omicron non perdona: vaccino, mascherine, distanziamento e classi ridotte sono le poche certezze su cui possiamo contare. “Ma i nostri bambini non possono essere vaccinati, non sono in grado di usare dispositivi di protezione (mascherine) e sono incapaci, vista la loro età, di rispettare le più semplici misure igieniche. Se le educatrici devono gestire un gruppo di sette possono garantire meglio la loro sicurezza, come fanno con gruppi di 30? Per i nostri bambini ripristinare le bolle è l’unica misura adottabile per cercare di proteggerli”. Vittoria D’Atena è una consulente giuridica per questo si è fatta carico di studiare cosa prevedono le linee guida nazionali e locali e anche lo stato d’emergenza.

LA LETTERA A REGIONE LAZIO: “RIPRISTINARE IL SISTEMA A BOLLE” – È lei che ha scritto e inviato alle istituzioni competenti il 23 settembre scorso una lettera firmata da numerosi genitori a seguito di una raccolta firme, con la richiesta di ripristino urgente del “sistema a bolle” negli asili nido comunali di Roma. “Siamo un gruppo di genitori, con figli iscritti in diversi asili nido comunali di Roma capitale, estremamente preoccupati per la salute dei nostri figli e delle nostre famiglie a causa della sospensione del “sistema a bolle”. La missiva arriva alla regione Lazio e ad assessorati regionali e comunali, anche al sindaco (all’epoca era ancora Virginia Raggi), alla direzione generale Istruzione. “La sospensione del sistema a bolle – scrive Vittoria D’Atena – nei nidi comunali decisa con circolare della Direzione Regionale Istruzione, Formazione e Lavoro della Regione Lazio sta determinando un elevatissimo rischio epidemiologico nelle strutture in cui vanno i nostri bambini e a oggi si scontra sia con la normativa nazionale in materia (le linee guida Nazionali per il piano scuola 2021/2022 che ribadiscono le priorità già previste per l’anno scolastico precedente), che con i dati reali relativi all’aumento dei contagi da Covid19 in bambini anche piccolissimi”. E cosa vi hanno risposto? Flaminia Cotone è la mamma che ha partecipato per conto di tutte le altre alla riunione con le istituzioni indetta dopo l’invio ufficiale della lettera firmata. “Eravamo alla vigilia delle elezioni comunali. Mi sono ritrovata in una situazione paradossale, si respirava un clima da campagna elettorale “noi abbiamo fatto” “loro invece no” “noi faremo”. A parole ci hanno detto che l’abolizione delle bolle da 7 bimbi rientrava nel ripristino delle regole precedenti e che comunque avrebbero monitorato la situazione sanitaria. Onestamente non vedo traccia di questo monitoraggio, che in un paese democratico dovrebbe essere trasparente”. In effetti vista la situazione attuale e il moltiplicarsi degli allarmi sul contagio tra i minori, non sembra si stia seguendo proprio una scelta sanitaria.

“I MOMENTI PIU’ A RISCHIO SONO PASTI E SONNO” – Flaminia ha un altro figlio di 5 anni. “L’ho vaccinato pochi giorni dopo averli compiuti. L’abbiamo fatto con convinzione. La piccolina non può, nel frattempo questo non autorizza chi di competenza a lavarsene le mani”. Diciamo la verità anche se fossero tutti vaccinati non si spiegherebbero comunque classi così sovraffollate. Perché dobbiamo evitare ovunque assembramenti e non a scuola? Non esiste il rischio zero, purtroppo, nessuno può garantirlo nemmeno istituzioni perfette e servizi impeccabili, ricordo a tutte. “Si ma in classi fino a trenta bambini con cinque educatrici di riferimento e un numero indefinito di supplenti durante l’anno scolastico, siamo al contagio certo, altro che rischio zero”. Anche questo è vero. Ha ragione Vittoria. “I momenti più a rischio sono quello dei pasti e del sonno. Trenta bambini a pranzo insieme, oppure a nanna in due stanze piccole collegate tra loro da una porta”.

“I PRIMI SETTE ENTRANO IN CLASSE; GLI ALTRI A CASA” – “Che si abbia il coraggio di dire: mettete in conto che i vostri figli tra 0-5 anni si devono contagiare per forza. – estremizza Flaminia. – Altro che coesione territoriale, unità d’Italia, servizi uniformi, chi ha i figli in nidi affollati si ritrova le scuole aperte solo in teoria, ma sempre in quarantena; chi no resiste”. E tra una quarantena e l’altra, chi ha il privilegio di potere tenere i piccoli a casa, come molti pediatri raccomandano, si fa ingiustamente carico del compito dello Stato di prevenzione sanitaria, mentre chi non può permetterselo li manda e non gli resta che affidarsi ad una buona stella. Raccolgo in poche ore molte storie assurde. “Il 10 gennaio ho portato i miei gemelli al nido. La maestra, quando siamo arrivati, mi ha detto che poteva prenderne solo 7, era sola, non erano state nominate le supplenti. Cioè capisci? I primi sette entravano, gli altri a casa”. Il giorno dopo Ida si sveglia presto e porta i figli in classe alle 7,40: “Noi paghiamo la retta per entrare alle 8 e quelli che invece dovrebbero iniziare alle 9? In pratica non sono riusciti ad entrare”. Il disagio è durato poco fortunatamente, sono arrivate le supplenti. Ma che sia accaduto questo anche solo per pochi giorni è scandaloso.

“BASTA UN POSITIVO E 30 FAMIGLIE SI BLOCCANO” – Non c’è però solo il pericolo che si ammalino, le quarantene stanno mettendo a dura prova tutti. “Ed è chiaro che in classi fino a 30 bimbi hai più possibilità di finirci. Basta uno positivo e di colpo 30 famiglie più quelle di tutte le maestre e del personale scolastico si bloccano”. È stato chiesto a tutti i genitori di firmare il patto di corresponsabilità, l’ho firmato anche io: “Ci siamo impegnate a non mandare i nostri figli a scuola anche solo con il naso che cola, ma quale patto di corresponsabilità ha firmato lo Stato con me, con noi?”. Valentina Cotone non ha dubbi: “La scelta di sospendere le bolle ha chiaramente dei vantaggiosi risvolti economici, il sistema a bolle necessitava di un maggior numero di educatrici. Ed infatti molte supplenti che hanno lavorato lo scorso anno oggi sono a casa”.

“E I DATORI NON ACCETTANO LO SMARTWORKING” – E quando finisci in quarantena a rischio oltre la tenuta psicologica è il lavoro. Altro che solidarietà nazionale, comprensione, smart working e tutte le belle parole che sentiamo ogni giorno. I datori vogliono il personale presente, a disposizione e se non ce l’hanno storcono il muso. Francesca Vallonchini è già alla seconda quarantena in un mese e mezzo. “Mi puoi dare anche il congedo covid (ndr, ripristinato) ma al mio datore di fatto ogni volta devo dire che non posso andare in ufficio. Questo disagio ricade soprattutto su noi donne, magari anche precarie, spesso poco strutturate contrattualmente o a partita IVA. Aggiungi che oltre al Covid i bimbi si prendono tutti gli altri virus che girano normalmente. Non ho aiuti di alcun genere, prendere una baby sitter è un impegno economico notevole che non mi posso permettere. È tutto sulle nostre spalle. A novembre mia figlia Irene è stata praticamente sempre a casa”. Hanno lanciato una petizione on line su Change e si stanno moltiplicano i contatti con mamme che vivono lo stesso disagio in altre parti d’Italia.

“DISAGIO E INCERTEZZA SULLE NOSTRE SPALLE” – A fine giornata conto i messaggi ricevuti: 94. Le mamme si stanno passano il mio numero di telefono. Il disagio è molto diffuso. Sui social nei gruppi specifici di genitori di figli in questa fascia 0-5 alcuni racconti sono drammatici: “Siamo di nuovo in quarantena. Sono esausta. Ho perso il lavoro. Non ho nemmeno la forza di preparare da mangiare”. Alcune mi chiedono di restare anonime. “Porto mia figlia in classe la mattina angosciata, mi aspetto da un momento all’altro che succeda qualcosa. Oggi sono dovuta andare a prenderla prima perché non c’erano abbastanza educatrici per il pomeriggio e non riuscivano ad avere sostituzioni. Il mio capo mi ha risposto malissimo. Non credo sarà a lungo tollerante”. “Lo 0/6 è al collasso, ma per i media, il governo e il Ministro della Pubblica Istruzione va tutto bene, la scuola è ripartita. E comunque la scuola di cui parlano è dalla prima elementare in poi. Noi, delle materne e dei nidi pubblici non esistiamo. Classi con bimbi ammassati in cui omicron dilaga.”

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