Due milioni di euro e una provvisionale di 750 mila euro. E’ il risarcimento chiesto dall’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia di Stefano Cucchi a conclusione del suo intervento nel processo a carico di otto carabinieri accusati di avere messo in atto depistaggi per sviare il corso delle indagini sulla morte del giovane, avvenuta nell’ottobre del 2009. “Non ce la facciamo più – ha detto il legale – Siamo stati carne da macello per queste persone, ma noi siamo essere umani: è stato fatto di tutto per nascondere responsabilità gravi”. Nell’intervento dall’aula bunker di Rebibbia Anselmo ha ricordato come il corpo di Stefano fosse “un mappamondo di lesioni”.

Per i presunti depistaggi sono imputati otto carabinieri: il generale Alessandro Casarsa all’epoca dei fatti comandante del Gruppo Roma, e altri 7 carabinieri, tra cui Lorenzo Sabatino, allora comandante del reparto operativo dei carabinieri di Roma. Le accuse, a vario titolo e a seconda delle posizioni sono quelle di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia. Per tutti il pm Giovanni Musarò ha chiesto la condanna. “Questa è stata una vicenda tremenda per la famiglia, per gli agenti penitenziari, per lo Stato, e anche per l’Arma che è parte civile. Da queste quaranta udienze, da questa inchiesta – ha detto l’avvocato – è emerso che esistono tanti parti sane nell’Arma dei carabinieri”. Nel 2015, ha ricordato Anselmo, “si è perso però il treno per poter rimediare e si reiterato il depistaggio. Anche dopo quella data e anche per quello che è accaduto in quest’aula ci sono stati segnali inquietanti”.

L’avvocato Anselmo ha ricordato che tra i militari “c’e anche chi ha avuto il coraggio di parlare. qualcuno lo ha fatto in ritardo ma ha avuto coraggio”. “Quando parlo di umanità penso a Colombo Labriola (uno degli otto imputati e all’epoca dei fatti comandante della stazione di Tor Sapienza, una delle stazioni dove Cucchi fu trattenuto nella camera di sicurezza ndr), non si può non apprezzare il suo comportamento processuale, il suo coraggio nel tenere testa ai superiori, la sua onestà intellettuale nel riferire ciò che andava anche contro di sè”.

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