di Alessandro Pezzini

Passeggiavo per la mia Lodi e, nella nebbia, ho avuto modo di ascoltare per un istante la polemica di un anziano signore che, per sfogarsi – ovviamente su quel tema, quello di cui parliamo sempre tutti – con la persona che aveva incontrato, ha sgomberato il campo da ogni variabile, arrivando al nocciolo della questione come solo la saggezza popolare permette di fare. Diceva: “Un anno fa, i tamponi non bastavano. E allora? Vaccini, vaccini, vaccini. Oggi i vaccini non bastano più. E allora? Tamponi, tamponi, tamponi”.

La nebbia, quantomeno quella interiore, si è istantaneamente diradata. È tutto qui, in queste parole.

A distanza di due anni dall’inizio della pandemia, non trovo una via di fuga che possa permetterci di riacquistare la normalità, quella noiosa, quella che non succede mai niente, quella di destra e sinistra che si devono inventare un tema al giorno per rimanere in trend topic, dei Ferragnez che fanno una pastasciutta e il tg sul sesto canale, grazie – come di consueto – ad un’inchiesta degna delle migliori spy stories, assicura di averne dedotto la ricetta esatta, che ripropone per giorni in ogni “salsa”, quasi facendo sembrare a noi umani di mangiare allo stesso tavolo di Chiara e Federico.

Ecco, rivoglio quella roba lì e non so capire come si faccia a riprendersela.

Da iniziato ai vaccini, secondo Dan, Cavaliere Difensore di ogni decisione dei Migliori, in attesa che scenda su di me per la terza volta il glorioso elisir che mi permetterà di continuare a mangiare la pizza, lo ammetto: sto cedendo. Ho dichiarato fin da subito alla mia compagna, quest’estate, la resistenza che il mio piccolo encefalo stava facendo a fronte delle (sempre) nuove normative.
“Amore – le ho detto – domani mi riprendo ma, per stasera, sarò No Green Pass”. Trovavo iniquo che io potessi beneficiare gratuitamente del vaccino e chi sceglieva di sfruttare un’altra via (concessagli) dovesse spendere 150 preziosi euro al mese.

“È una vera alternativa?”, mi chiedevo. Trovavo strano che la commessa senza Green Pass di un market potesse essere sbattuta fuori senza stipendio, per la sicurezza di tutti, e che poi potesse immediatamente rientrarvi, da cliente, girandoselo tutto in lungo e in largo. Trovavo sensato il concetto che un pluri-costantemente-tamponato fosse più sicuro di me di non contagiare anima viva mentre io, chissà, magari asintomatico e tranquillo possessore del Verde Sigillo, potevo essere veicolo di contagio. Ho trovato poi eccessivo che il Green Pass fosse obbligatorio anche in “smartworki”, pena l’esclusione dalla pecunia. “Ma se tanto è in casa sua, che male può fare?”, mi domandavo.

Continuerò a seguire ogni normativa e ogni consiglio medico, arriverò serenamente a qualsiasi dose di vaccino indicatami eccetera, ma le nuove regole mi appaiono un tantino fuori fuoco.

Chi mai dichiarerà ad Ats nome, cognome e quantitativo di persone a cui ha stretto la mano nei giorni precedenti alla positività, rendendole contatti stretti? Chi confermerà, tra i possessori di Green Pass che – se asintomatici – possono vivere, di essere stato a contatto per 16 e non 14 minuti con una persona risultata positiva, ciucciandosi una settimana di quarantena?

Non so. Non mi sembra la strategia giusta.

Pensavo a Super Mario, quello del gioco eh, ed effettivamente funziona così: quando sbatte contro un muro, continua a muovere le gambe come se camminasse di gran lena ma senza concretamente fare alcun passo in avanti nel percorso pieno di ostacoli che, superati uno ad uno, dovrebbe portarlo alla vittoria finale.

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