Rilanciamo le campagne per il disarmo. Le migliaia di miliardi spesi ogni anno in armamenti gridano vendetta

Quello delle armi è un settore che non conosce crisi e che ha continuato e continua a fiorire anche durante la fase della pandemia, in cui, al contrario, si sono acuite le condizioni di disagio di ampie fasce della popolazione.

Mentre la pandemia ha assorbito risorse straordinarie per farvi fronte, e la crisi economica che ne è seguita ha cancellato posti di lavoro, soprattutto a danno dell’occupazione femminile, le 100 principali industrie militari mondiali hanno visto aumentare il fatturato: nel 2020 il comparto ha registrato vendite a livello globale per un totale di 531 miliardi di dollari, in crescita dell’1,3% rispetto all’anno precedente. Confermando un trend che si è consolidato nell’ultimo ventennio: dal 2000 ad oggi la spesa militare mondiale è raddoppiata e si avvicina a 2 trilioni di dollari Usa l’anno, registrando un aumento in tutte le regioni del mondo.

Le migliaia di miliardi che ogni anno vengono spese in tutto il mondo in armamenti gridano vendetta di fronte alla necessità di investire risorse per contrastare il cambiamento climatico e per dare condizioni di vita dignitose a quella parte di popolazione mondiale che vive ancora oggi in situazioni di indigenza ed è esposta a malattie endemiche che minano la possibilità di vita fin dall’infanzia. Per farsi un’idea più chiara di questo inaccettabile contrasto è opportuno citare i numeri dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), l’Istituto internazionale di studi sulla pace di Stoccolma, che ogni anno elabora il rapporto sul commercio internazionale dei sistemi d’arma: per evitare il collasso climatico da qui al 2050 servirebbero 44 mila miliardi di dollari di investimenti, molto meno della spesa in armi prevista, sempre al 2050, che è di 58 mila miliardi di dollari. In altre parole: le risorse necessarie per curare il clima e per mettere in sicurezza la nostra vita sul pianeta ci sarebbero, ma se ne spendono molte di più per distruggerlo e distruggerci.

Partendo da questi dati, oltre cinquanta premi Nobel e scienziati – tra i quali figurano Carlo Rovelli, Matteo Smerlak, Carlo Rubbia, Giorgio Parisi, Roger Penrose e Steven Chu – hanno lanciato la campagna per il “Dividendo della pace”. Un appello subito appoggiato dal Dalai Lama. La richiesta fatta ai governi di tutto il mondo in quella che i promotori hanno definito una “semplice proposta per l’umanità”, è netta, chiara e lineare: ridurre la spesa militare del 2% ogni anno per cinque anni, con l’obiettivo di creare un “dividendo” di mille miliardi di dollari al 2030 da impiegare per creare un fondo per lottare contro pandemie, cambiamento climatico e povertà. “La storia dimostra che è possibile siglare accordi per limitare la proliferazione degli armamenti: grazie ai trattati Salt e Start, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica hanno ridotto i loro arsenali nucleari del 90 percento dagli anni Ottanta ad oggi”, hanno sottolineato i sottoscrittori dell’appello.

Il pacifismo e l’impegno per il disarmo sono da sempre patrimonio dei Verdi, in Italia e in Europa. E quindi non è un caso che sia stata proprio Annalena Baerbock, neoministra tedesca degli Esteri ed esponente dei Grünen, a rilanciare il tema del disarmo atomico. Noi di Europa Verde siamo e saremo al fianco dei movimenti pacifisti, come la Rete italiana pace e disarmo e la Campagna Sbilanciamoci che hanno chiesto all’Italia un gesto di disarmo simbolico: una moratoria all’acquisto di nuovi sistemi d’arma. Si tratterebbe di 6 miliardi per il 2021, con una previsione di crescita del 3% per il 2022. Come non concordare con loro che sarebbe decisamente meglio spendere queste risorse in istruzione e sanità? Eppure la richiesta è stata ignorata.

Ecco due battaglie da raccogliere e rilanciare, confidando in una grande condivisione politica e sociale: dividendo per la pace e taglio delle spese militari in Italia. Se non ora, quando?

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