Aveva ricevuto 500mila euro per la crisi dovuta all’emergenza Covid. Un’attività, arrestata dal virus, che negli anni gli aveva garantito appalti pubblici per l’assistenza domiciliare ai disabili tra la Sicilia, la Puglia e perfino la Sardegna. Grazie al ribasso addirittura del 100 per cento, aveva vinto appalti anche cospicui. Come quello del 2017 per l’assistenza domiciliare alle famiglie dei disabili per quasi 2 milioni e mezzo di euro dal Comune di Messina, ma aveva vinto appalti anche a Catania, Milazzo, Capo d’Orlando, Sant’Agate di Militello, e fuori dalla Sicilia: Brindisi, Gallipoli e Sassari. Tutto attraverso la cooperativa Genesi, che secondo gli accertamenti della procura, condivisi dalla sezione delle Misure di prevenzione del Tribunale di Messina (presidente Massimiliano Micali, a latere, Maria Scolaro e Giuseppe Miraglia), è riconducibile a Giuseppe Busacca, notissimo imprenditore del Messinese, accusato di avere drenato soldi della mafia barcellonese.

Originario di Ficarra, paesino sui Nebrodi, operativo tra Messina e la zona tirrenica della provincia dello Stretto (a Milazzo soprattutto), dove il figlio Alessandro, era consigliere comunale, eletto nella lista formata dall’ex vice presidente dell’Assemblea regionale, Santi Formica. Busacca è infatti considerato vicino a Formica, eletto nel 2008 deputato regionale nella lista di Nello Musumeci, attuale presidente della Regione. Entrambi i figli di Busacca – Alessandro e Gianluca – sono stati interessati dal sequestro. Mentre Alessandro è conosciuto nel milazzese per la sua attività politica, Gianluca è il direttore amministrativo di una delle scuole private cattoliche più prestigiose della città, il Collegio Sant’Ignazio (fucina di formazione dei rampolli della “Messina Bene”). E sono pesanti le accuse mosse dalla procura guidata da Maurizio De Lucia, secondo la quale Busacca, 64 anni, avrebbe costruito un impero reinvestendo i proventi illeciti della mafia barcellonese, grazie al suo rapporto con Santo Napoli, consigliere comunale a Milazzo ininterrottamente dal 1993 al 2015, dipendente dell’Asl 5 in qualità di infermiere, arrestato nel 2017 e condannato nel 2020 per concorso esterno in associazione mafiosa, considerato contiguo alla mafia barcellonese, come dichiarato da più collaboratori di giustizia: “la faccia pulita, in pratica, del clan dei barcellonesi per attività, insieme al figlio, di apertura di discoteche e cose varie…”, così parlava di Napoli il collaboratore Salvatore Centorrino, esponente della mafia messinese, indicandolo come “soggetto che favorì la sua latitanza nel 1989”, così si legge nel decreto di sequestro della sezione di prevenzione del Tribunale di Messina, che riporta anche gli stretti rapporti con Salvatore Rinzivillo, reggente della famiglia mafiosa gelese e fedelissimo di Giuseppe Madonia, detto ‘piddu’, per altro verso”.

Busacca e Napoli sono sottoposti a sorveglianza speciale (il primo per 3 anni e mezzo, il secondo per 5 anni) come disposto dalle sezioni delle Misure di prevenzione che ha ordinato anche il sequestro di beni immobili e mobili e di quote societarie per una somma complessiva di 100 milioni nei confronti di Santo Napoli, Giuseppe Busacca, il figlio Alessandro Busacca, l’ex compagna Nora Scuderi, Antonino Napoli, Francesco Rantuccio e di società e relativi compendi. Un giro d’affari milionario che ruotava attorno a Busacca, imprenditore che spaziava i suoi interessi dall’assistenza domiciliare agli anziani e ai disabili alle discoteche “sono mie”, aveva detto in un’intercettazione riportato nel decreto di sequestro, riferendosi ad alcune discoteche tra le più note di Milazzo: Le Terrazze, l’Inside, il Babylon (che però non sono incluse nel decreto di sequestro, ndr). Mentre una delle società aveva sede a Messina, al Next, un noto locale della città dello Stretto, proprio a pochi passi dal Palazzo comunale, ormai chiuso da anni. Proventi ottenuti secondo gli accertamenti della sezione anticrimine di Messina grazie ad una serie di illeciti che ha permesso “una colossale opera di defiscalizzazione”. Intestazioni fittizie, affitti o vendite gonfiati, ottenimento di risorse pubbliche grazie a ribassi eccessivi. Un modus operandi “riconosciuto”, secondo il collegio di giudici messinese. Grazie al quale aveva, in realtà, “partecipato sin dall’inizio agli investimenti della mafia nelle discoteche – secondo quanto riporta la polizia di Stato – approfittando di erogazioni pubbliche conseguite in maniera fraudolenta, le cui attività espansive sul territorio erano state successivamente finanziate grazie ad un imponente giro di false fatturazioni per operazioni inesistenti, anche in questo caso gravanti su pubblici contributi derivanti da appalti per lo svolgimento di servizi socio-assistenziali”.

Mentre “l’alleanza criminale tra Busacca e Napoli – continua il decreto dei giudici messinesi – trova traccia già da epoca risalente nell’informativa del commissariato di Milazzo da cui risulta che Napoli, a metà dell’anno 2000, intervenne insieme al menzionato Saro Cattafi (il noto avvocato barcellonese condannato per associazione mafiosa, in appello, lo scorso ottobre, ndr), sul sindaco pro tempore di Milazzo, Nino Nastasi, oltre che per caldeggiare la propria candidatura ad assessore comunale, anche per assicurare a Busacca, in qualità di titolare della cooperativa Genesi, la proroga del servizio di assistenza domiciliare agli anziani”.

Sull’imprenditore messinese pendono già dal 2015 accuse pesanti: Busacca era stato già arrestato nel 2015, insieme ad altre 7 persone, per corruzione, estorsione, truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, frode nelle pubbliche forniture e turbata libertà degli incanti. Accuse per le quali è stato poi prosciolto, ma è stato rinviato a giudizio nel 2018 per un’ipotesi di estorsione per la quale è ancora sotto processo in primo grado (prossima udienza a Marzo). Per questo i giudici scrivono: “Riconosciuto un modus operandi fraudolento che caratterizzerà anche condotte delittuose rappresentate nell’ambito dell’informativa del 16 giugno 2019 che costituisce il cuore della proposta di misura di prevenzione”. Riconosciuta secondo i giudici una “stabile dedizione del Busacca, mediante le società a lui riconducibili, a reati tributari, frodi nel conseguimento di erogazione pubbliche ed altri delitti produttivi di lucro”. Un esempio del modus operandi è la cooperativa Genesi, che negli anni “è riuscita a sbaragliare numerosi concorrenti e ad aggiudicarsi una serie di appalti, poiché in grado di praticare ribassi molto elevati”. Che riceve soldi anche dalla società cooperativa “Salumificio dei Nebrodi”, secondo i giudici creata “ad hoc per drenare ulteriori fondi dalla Genesi”. La società avente quale oggetto sociale attività e servizi di salumificazione, produzione e commercializzazione di salumi e insaccati in genere, carni fresche e congelate e altro, a distanza di circa un mese e mezzo dalla costituzione, la Salumificio Nebrodi, affitta, infatti, un ramo d’azienda alla società cooperativa sociale Genesi, per una durata di sei anni “con un canone di locazione di 201.600 mila euro”. Per questo secondo i giudici “appare evidente che l’articolata operazione descritta non ha alcun senso commerciale ed è da considerarsi strumentale al trasferimento fraudolento di denaro dalla società cooperativa Genesi. È fuori dalla logica, infatti, affittare un’azienda appena un mese e mezzo dopo la sua costituzione, specie alla luce della circostanza che la nuova cooperativa sociale Salumificio dei Nebrodi, risulta inattiva. “Ritengo fondamentale evidenziare che nel valore dei beni e degli assetti societari è ricompresa una parte di provvista delocalizzata in conti esteri e raggiunta grazie all’applicazione della procedura di congelamento dei beni prevista dal Regolamento Ue 1805 del 2018, introdotto nell’ordinamento italiano e che consente il riconoscimento reciproco dei provvedimenti di sequestro e di confisca. Misura, questa, efficacissima per contrastare l’ormai diffusissima prassi della delocalizzazione delle mafie”, ha sottolineato il prefetto Francesco Messina, direttore centrale anticrimine.

I Busacca, padre e figli, difesi dagli avvocati Salvatore Silvestro e Giovanni Cicala, si dicono, però estranei ad “ogni coinvolgimento in fatti delittuosi o contiguità ad ambiente criminali o di tipo mafioso, nella certezza di riuscire a dimostrare l’insussistenza dei presupposti su cui si fonda il provvedimento ma restiamo fiduciosi nell’operato della Magistratura. Siamo, comunque, preoccupati, per quanto accaduto in casi analoghi, peri nostri dipendenti ed i loro familiari e auspichiamo che l’Amministrazione Giudiziaria adotti tutte le iniziative necessarie per garantire la conservazione dei posti di lavoro”.

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