Il Parco archeologico dei Campi Flegrei e il Palazzo Ducale di Mantova. La Pinacoteca Nazionale di Bologna e il Museo Nazionale Romano. La Galleria Nazionale delle Marche e il Museo Nazionale di Matera. Ma anche la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e la Biblioteca Nazionale di Cosenza. La Biblioteca “Casanatense” a Roma e la Biblioteca Universitaria a Sassari. I Luoghi della cultura diventano spazi di inclusione.

Il ministro della Cultura, Dario Franceschini, e la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, hanno sottoscritto una convenzione quinquennale tra i due ministeri per lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità ai fini della messa alla prova. Sono 52 gli istituti culturali del MiC dove potrà essere svolta tale attività non retribuita: 11 musei e parchi archeologici, 5 archivi di Stato e 36 biblioteche statali dislocati su tutto il territorio nazionale.

I settori di impiego saranno nell’ambito della fruibilità e tutela del patrimonio culturale e archivistico, della manutenzione e fruizione di immobili o servizi pubblici e di specifiche competenze o professionalità di chi sta facendo un percorso di messa alla prova. “Guardando l’elenco degli archivi, delle biblioteche e dei musei in cui sarà possibile operare, non si può che pensare che ciò farà del bene alle persone che verranno coinvolte. Partiamo da 52 siti e 102 persone, ma i luoghi della cultura sono tanti e c’è ampio margine per ampliare questa positiva collaborazione tra il Ministero della Cultura e il Ministero della Giustizia, che mi fa piacere sia la prima di questo genere”, ha dichiarato il ministro Franceschini.

“È una forma di visione della giustizia, come riparazione del danno inflitto alla collettività, che trovo feconda”, ha commentato la ministra Cartabia. Che ha aggiunto come “la Costituzione non parli di carcere, ma di valenza rieducativa della pena, che trova nell’ istituto della messa alla prova un’espressione particolarmente riuscita … I vantaggi sono molteplici: alleggerire il carico dei tribunali; dare sollievo alle strutture detentive; evitare il passaggio in carcere, quando possibile. E soprattutto stimola questa cultura della pena, come riparazione nei confronti della persona offesa e della collettività”.

La convenzione istituzionalizza una procedura già utilizzata in passato. Anche se in maniera episodica. Peraltro coinvolgendo detenuti e non persone a piede libero. Come accaduto nel 2015 quando quattro detenuti del carcere di Massama, ad Oristano, sono stati impiegati nelle attività di scavo all’interno dell’area archeologica di Mont’e Prama, a Cabras.

Oppure nel 2014 quando un protocollo d’intesa tra il ministero della Giustizia e il Comune di Teano, in provincia di Caserta, ha consentito a 4 detenuti di prestare servizio all’interno dei siti archeologici del territorio di Teano. Ancora, come accaduto, nel 2012 con un progetto tra il ministero della Giustizia e il Comune di Roma che ha permesso a diciotto detenuti di Rebibbia, 17 uomini e una donna, di curare 33 aree archeologiche di Roma, dal centro alle periferie.

“È una convenzione di grande valore pragmatico, ma anche simbolico … Attualmente sono 23.700 le persone messe alla prova e 8.600 coloro che svolgono lavori di pubblica utilità: esporli all’arte è un atto di grande civilità“, ha spiegato Cartabia.

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