Le regole di comportamento di una delle più importanti divisioni partigiane, la Garibaldi Cichero che operò nel Genovesato contribuendo alla liberazione della città, erano assai rigide e precise. Furono tramandate sotto il nome di Codice Cichero, una definizione condivisa tanto da chi combatté l’occupazione nazista quanto dalla gente che li apprezzò, aiutò, accolse e protesse. Sono regole semplici, in apparenza banali, ma riflettono una declinazione della guerra che raramente si può apprezzare esplorando la storia del genere umano.

Alcune norme regolavano, innanzitutto, il comportamento dei combattenti nei confronti della popolazione civile che viveva nelle zoni rurali, dove si svolgevano le operazioni di guerriglia: “Alla popolazione contadina si chiede, non si prende; e, possibilmente, si paga o si ricambia ciò che si riceve. Non si importunano le donne. Non si bestemmia”.

Un secondo gruppo di norme, a loro volta, interpretava il ruolo della leadership secondo una precisa concezione morale. La leadership è, prima di tutto, servizio e sacrificio: “Il capo, che viene eletto dai compagni, sarà il primo nelle azioni più pericolose, l’ultimo nel ricevere il cibo e il vestiario. A lui spetterà il turno di guardia più gravoso”. La leadership va rispettata, seguita e ubbidita ma, nello stesso tempo, va verificata, controllata e condivisa: “Nelle attività e nelle operazioni si eseguono gli ordini dei comandanti, ma la loro condotta verrà poi sempre discussa in assemblea”.

La Divisione Cichero era stata fondata da Aldo Gastaldi, che si fece chiamare Bisagno. Anche piccoli torrenti, come il Bisagno che ha inondato Genova a più riprese prima e, soprattutto, dopo il tombamento di epoca fascista, hanno un posto nella storia. La Cichero occupa quindi uno spazio del tutto particolare nel cuore degli idraulici che apprezzano tutt’oggi quell’eredità culturale.

Ai giorni nostri, avviene raramente che il capo – leader politico, manager industriale, guida scientifica – sia il primo a esporsi ai rischi e l’ultimo a nutrirsi. Né, quasi mai, lo vediamo attendere alle mansioni più gravose o ai turni più faticosi. E sempre più spesso il capo non viene eletto ma imposto dalle circostanze, mentre il concetto stesso di democrazia rappresentativa sta declinando rapidamente senza che una più moderna, magari diversa ma alta declinazione di democrazia, si affacci all’orizzonte.

Tutto ciò azzoppa qualunque leadership. Salvo rari casi, la leadership di oggi è monca, labile, tanto più debole nella sostanza quanto più forte si mostri in apparenza. Mai come ai nostri giorni le decisioni dei capi vengono distorte, le direttive interpretate a proprio uso e consumo, il messaggio travisato. Né mai, proprio mai, si controlla, verifica e discute a posteriori l’esito delle decisioni prese dall’alto.

Leader come Umberto Terracini e Sandro Pertini, Paolo Emilio Taviani e Tina Anselmi, Vittorio Valletta ed Enrico Mattei, Giulio Natta e Rita Levi-Montalcini, Antonio Cederna e Aurelio Peccei sono lontanissimi archetipi, del tutto estranei all’attuale interpretazione del ruolo guida. E la ragione sta proprio nell’involuzione di quel ruolo, oggi fissato sull’ossessione del comando senza preoccupazioni di governo.

Lo ha ricordato di recente il protagonista di un bellissimo documentario girato a Genova, presentato qualche giorno fa in un circolo Anpi di Milano: Giotto, il Novecento proletario di Giordano Bruschi. È un video indipendente da divulgare nelle scuole e trasmettere attraverso il pubblico servizio televisivo. Il futuro non sarà mai quello di una volta, ma l’eredità e il rispetto di alcuni principi, come quelli che emergono dalla storia minima e assieme collettiva che il documentario racconta, possono aiutarci a costruire futuri anche migliori di quelli di una volta.

I grandi principi non si perdono una volta che vengono alla luce; sono proprio qui! Devi solo vederli di nuovo”. Era un concetto chiaro a James Stewart nel ruolo di Jefferson Smith, “senatore per caso” in un memorabile film di Frank Capra del 1939, Mister Smith va a Washington. Spesso lo dimentichiamo.

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