Nella vita ci sono autobus che passano una volta sola. E lo sa perfettamente Carlos Alberto Bianchezi, meglio conosciuto come Careca Bianchese o Careca III: centravanti brasiliano che per una stagione ha giocato nell’Atalanta. Di Careca in realtà aveva veramente poco: non che l’attaccante paulista fosse scarso, ma non ha fatto granché per dimostrare di non esserlo. Poi certo, Antonio de Oliveira Filho, il Careca vero insomma, è stato uno dei migliori centravanti della storia, mentre Bianchezi girava con capello lungo in stile telefilm americano anni 80 e i baffoni, soprattutto. Un’altra cosa, insomma. Comunque, Bianchezi non era un attaccante per caso, seppure il caso ci abbia messo del suo a metterlo in attacco.

Trent’anni fa esatti il centravanti paulista dava una dimostrazione (una delle poche per la verità), che l’Atalanta non ci avesse visto proprio male quando nel 1991 l’aveva comprato per sostituire l’idolo di Bergamo, il suo connazionale Evair. A Marassi il 20 ottobre 1991 contro la Samp campione d’Italia Careca III mette in ambasce assieme a Caniggia tutta la difesa: prima si libera bene del suo marcatore (lo zar Pietro Vierchowood, non il più tenero) e fa secco Gianluca Pagliuca, poi si beve Fausto Pari in un nulla costringendo l’ex portiere della nazionale a respingere sui piedi un’altra botta da fuori, che “il figlio del vento” trasformerà nel 2 a 0. Una partita decisamente positiva: tra le poche giocate a Bergamo, però, dal centravanti per caso.

Per caso, già, perché il buon Bianchezi calciatore c’era diventato per un errore: quand’era ragazzino il Marillà si allenava nella sua zona, il padre di un amico chiese ai dirigenti di aggregare il figlio alla squadra per un provino. Il ragazzo stava facendo il militare e dunque aveva i capelli rasati: Careca, in portoghese, vuol dire pelato. Così credendo si parlasse di Bianchezi, già soprannominato Careca, lo convocano, salvo poi dirgli che era stato un errore: lui non ci sta e sale lo stesso, di nascosto, sul bus della squadra. Lo portano a giocare un’amichevole coi professionisti, l’allenatore lo manda in campo e lui con la sfrontatezza dei 16 anni inizia a dribblare i grandi e a dar prova delle sue qualità, ottenendo due risultati: un sacco di botte dai grandi presi in giro da un ragazzino e l’ingaggio nel Marillà.

Centravanti quasi per caso, con un soprannome scomodo e calamita di botte altrui, anche: dopo il Marillà, Bianchezi arriva al Guarani e poi al Palmeiras dove si guadagna la convocazione in Copa America 1991. Il ct Falcao lo manda in campo nella partita del girone finale contro l’Argentina: lui non ci pensa troppo e tira una gomitata a Oscar Ruggeri. Il cartellino rosso pone fine alla sua storia con la nazionale verdeoro.

E chi si ricorda Ruggeri ricorderà anche che non era il tipo di difensore da far arrabbiare: lo cercherà dopo la gara, non riuscendo a salire sul pullman (un rapporto fortunato quello tra Bianchezi e i bus) ma lo beccherà da avversario anni dopo in Messico. Si affrontano il Club America, dove gioca Ruggeri e il Monterrey, dove gioca Bianchezi: dopo 20 minuti il brasiliano non è più in campo, per un tackle dell’argentino, che non pago si avvicina alla barella che porta via l’attaccante e gli urla “Dove vai? Non ti ho ancora colpito”.

In mezzo l’esperienza italiana all’Atalanta di Bruno Giorgi: 9 gol in tutto, un dito medio mostrato ai tifosi del Padova dopo un gol in Coppa Italia giusto per essere apprezzato da tutti, espulsioni col Parma (all’andata e al ritorno) e in Coppa Italia contro la Juventus, un gol su rigore che provoca l’esonero di Orrico dall’Inter. Poi il Messico e la fine della carriera nel 1997. A Monterrey ha vinto una Coppa delle Coppe Concacaf nel 1993… e qualcosa di più grande lo scorso anno, quando si è messo a produrre visiere protettive per gli ospedali presi d’assalto durante il Covid. Non male, Careca.

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