di Pietro Francesco Maria De Sarlo

Come per tutte le elezioni, appena si chiudono le urne, il commento sulla affluenza tiene il banco giusto il tempo per riempire l’attesa per capire chi ha vinto e chi ha perso. Eppure il vero terremoto di queste elezioni è il dato della affluenza alle urne. Milano 47%, Bologna 51%, Roma 49%, Napoli 47%: dati che, almeno a me, destano molta preoccupazione specialmente per il fatto che si tratta di elezioni per il primo cittadino, ossia quelle che le persone dovrebbero sentire più vicine. Però le amministrative, nei grandi centri, sono influenzate e piene anche di riflessi politici nazionali.

Dati mai visti e che testimoniano il declino della affezione alla politica in modo omogeneo in tutta Italia.

Occorrerebbe chiedersi cosa c’è nella testa, nel cuore, nelle aspettative di quella metà abbondante di cittadini che non è andata a votare. Alle politiche del 2018 c’era la protesta verso una politica e l’élite, italiana ed europea, che sembrava incapace di guidare il Paese fuori dalla crisi economica e sociale che lo aveva investito dopo la gestione del governo Monti e che, applicando le ricette di Draghi e Trichet, lo aveva gettato in una rancorosa depressione.

Questa insoddisfazione si era riversata su una proposta nuova, rappresentata dal M5S, che incanalava tutto il malessere in uno sbocco democratico e dando voce a istanze ormai prive di rappresentanza. Certo nessuna delle persone che avevano votato il movimento nel 2018 lo avrebbe fatto sapendo che dopo pochi anni avrebbe dato la fiducia proprio a Mario Draghi.

Certamente quella élite che con caparbia e tenacia fin dal primo giorno dopo le elezioni, come con la Raggi a Roma, ha fatto di tutto e schierato tutte le forze economiche, mediatiche e culturali che aveva a disposizione per cancellare quella stagione politica, oggi brinda. L’obiettivo è stato raggiunto quando il Presidente Mattarella ha dato l’incarico a Draghi per formare il governo, ma è stato chiaro subito alla pubblica opinione che non si sostituiva un governo che aveva operato male, ma tutte le polemiche interne ed esterne, dal Mes alla gestione del piano vaccinale, servivano solo a demolire un governo che aveva dimostrato sia di saper gestire la crisi del Covid, sia di saper imporre all’Europa un’agenda di contrasto alla pandemia e che ha portato a casa i famosi 209 miliardi e una nuova sensibilità sulle ragioni della Unione stessa. Ognuno è libero di pensarla diversamente, ma io sto parlando non di tutti ma di quei cittadini che si erano espressi contro le élite e a cui la caduta di Conte è sembrata un atto di prepotenza.

Mi rivolgo alla onestà intellettuale di tutti. Chi votò il M5S nel 2018 si è sentito tradito? Se sì, si è sentito tradito solo da Grillo? E dalle massime istituzioni del Paese? Le stesse che, con forzatura costituzionale, rifiutarono una persona con il curriculum di Paolo Savona come ministro? È legittimo chiedersi che tipo di rispetto ci sia in Italia del voto popolare? E quindi se il voto del popolo non viene rispettato, né da Grillo né dalle istituzioni, perché il popolo dovrebbe ancora andare a votare? E perché votare ancora il M5S? A Milano ha il 2,8%, a Torino l’8,36, a Bologna il 3,37, a Roma e Napoli l’11. Il risultato è deludente a prescindere dalla alleanza o meno con il Pd.

Questo risultato ratifica l’irrilevanza politica del M5S al governo e nel Paese. Le élite saranno soddisfatte di tutto il fuoco di sbarramento buttato su Virginia Raggi, per aver ribaltato il risultato elettorale del 2018 e nel vedere Draghi al governo, saranno soddisfatti in Confindustria e saranno soddisfatti indubbiamente tutti i giornalisti salariati che hanno costantemente irriso i partiti e la democrazia e che elogiano l’antitesi della democrazia rappresentata dall’agito di Draghi e del suo governo.

Attenzione però a cosa si nasconde dietro il 50 e passa per cento che ha disertato le urne. Dio non voglia che a qualcuno venga in mente di tornare alle politiche di rigore.

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