L’ultima volta che i napoletani hanno votato per scegliere il sindaco la percentuale di astensione ha raggiunto livelli record, sfiorando in alcuni quartieri anche punte del 70%. Nel 2016 al ballottaggio tra i candidati Luigi De Magistris e Gianni Lettieri l’affluenza è stata del 35,98% (al primo turno avevano votato invece il 54% degli aventi diritto, quasi un napoletano su due, cifra comunque bassa rispetto al 60,3% del 2011 e al 68,2% del 2001). Sono mancati soprattutto i voti di alcune periferie. A pochi giorni dalla nuova tornata elettorale ilfattoquotidiano.it è andato a Scampia, terra di promesse elettorali e di un rilancio che solo dopo 40 anni inizia lentamente a concretizzarsi. Qui l’opera e la pressione sulle istituzioni da parte dei comitati e delle associazioni ha portato negli ultimi anni al raggiungimento di piccoli traguardi sul fronte abitativo e lavorativo. Traguardi che i cittadini rivendicano. “Di solito si chiede alla politica di costruire – dice Omero Benfenati del Comitato Vele di Scampia – noi oggi alla politica chiediamo di non distruggere quello che abbiamo conquistato”. La paura degli abitanti delle Vele, ora che è ancora più visibile il processo di riqualificazione dell’area è che non si porti a termine quanto previsto dai vari progetti e che non vengano rispettati alcuni accordi presi con la precedente amministrazione e i precedenti governi.

“In questo cantiere per esempio lavorano alcuni abitanti delle Vele che non avevano altre forme di reddito – dice Lorenzo Liparulo del Comitato Vele di Scampia – lavorano grazie ad una clausola sociale che abbiamo imposto e che prevede l’utilizzo di almeno il 30% dei disoccupati del quartiere. Ma restiamo vigili perché questa clausola deve essere estesa a tutti gli altri cantieri che da qui ai prossimi anni interesseranno l’area. Qui abbiamo il paradosso di avere una municipalità senza mezzi né personale, nessuno che curi strade e verde pubblico e dall’altra parte abbiamo una marea di gente che sopravvive grazie al reddito di cittadinanza e che non aspetta altro che rendersi utile alla città”. La preoccupazione per le circa 350 famiglie che a oggi vivono ancora nei mostri di cemento e amianto non viene solo dalla burocrazia e da eventuali ritardi nell’arrivo dei fondi per finanziare le opere di demolizione. L’assenza di controlli all’interno di ciò che resta dei palazzi simbolo di Gomorra ha permesso a decine di famiglie di occupare alloggi distrutti, ma liberi. A oggi ci sono decine di nuclei non censiti sia nella vela gialla che in quella rossa, entrambe dovranno essere rase al suolo nei prossimi anni. Un progetto che, abusivi a parte, sembra già piuttosto complicato. I 350 nuclei censiti, che non hanno trovato posto nei nuovi parchi sorti in questi anni nell’area intorno al lotto M perché già assegnati agli ex abitanti storici delle Vele, dovranno essere spostati temporaneamente in alloggi prefabbricati, per consentire la riqualificazione della vela celeste, l’unica che resterà in piedi. In un secondo momento dovrebbero tornare nei rispettivi appartamenti nella vela ormai restaurata.

“Qui viviamo in una città in cui c’è ancora gente che vive nei container del dopo terremoto – ci spiega Patrizia Mincione, abitante della Vela celeste – è normale che abbiamo paura che ci abbandonino con i cantieri aperti”. Patrizia, che vive da 40 anni a Scampia ha fondato un doposcuola che al momento è chiuso. “Facevo doposcuola ai bambini del quartiere nella Vela verde, quella che hanno demolito, quindi abbiamo trovato ospitalità in un centro in cui lavorano altre associazioni, ma un incendio doloso appiccato ad agosto non ci ha permesso di ricominciare quest’anno”. Il doposcuola ‘Centro Insieme’, fondato da Patrizia si trova all’interno dell’Officina delle Culture Gelsomina Verde, un ex edificio abbandonato di 2000 metri quadrati in cui operano 13 associazioni. Lì troviamo Ciro Corona e Cira Celotto, rispettivamente responsabile del Centro e presidente dell’associazione ’Le Ali di Scampia’, entrambi candidati al consiglio comunale. Le difficoltà del polifunzionale ‘Gelsomina Verde’ non arrivano solo dalle intimidazioni di ciò che resta dei clan della zona, negli ultimi anni infatti, le associazioni hanno lavorato ufficialmente da abusivi nella struttura. “Siamo ancora oggi abusivi – ci spiega Cira Celotto dell’associazione Le Ali di Scampia – questo a causa di un pasticcio burocratico della precedente amministrazione che per questioni di bilancio ha affidato questo bene a una sua partecipata, l’Asia, che in quanto tale, non poteva concedere l’uso gratuito a terzi, ciòè a noi. L’ultimo consiglio comunale di settembre ha quasi risolto il problema – prosegue la Celotto – ma l’iter non è ancora concluso per mancanza di tempo e del problema se ne dovrà occupare il futuro sindaco della città”. “Questa struttura durante la faida è stata prima un’armeria dei clan e poi un ricovero per tossicodipendenti – racconta Ciro Corona, responsabile dell’Officina delle Culture – e grazie all’aiuto dei cittadini e di giovani provenienti anche da altre zone, quella fabbrica di morte è diventata un centro polifunzionale in cui facciamo doposcuola e attività di ogni tipo per gli abitanti del quartiere di ogni età. È un luogo di aggregazione in cui vengono anche carcerati a scontare la pena dandoci una mano a potare le aiuole e a sistemare le classi. Scampia – conclude Corona – è il laboratorio sociale più grande d’Europa. In tutto il quartiere ci sono più di 120 associazioni, in pratica stiamo parlando di 120 realtà che fanno rete e provano ad occuparsi di tutto, dal doposcuola dei bimbi al taglio dell’erba dei giardini pubblici, di fatto sostituendosi alle istituzioni. Questo quartiere solo grazie alle realtà territoriali è riuscito a non abbassare la testa quando c’era la camorra e dopo la camorra”.

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