A due settimane dal voto il 17 settembre i sondaggi sulle elezioni a Roma indicavano ancora una situazione e di forte e diffusa indecisione da parte degli elettori (1 su 4 non ha ancora deciso), e in particolare di notevole incertezza riguardo al gradimento per Virginia Raggi che oscillerebbe, a seconda delle rilevazione dei vari istituti demoscopici, in una forbice che va dal 15% al 25%.

Mentre il quadro complessivo è sempre più indecifrabile, visto che l’annunciata strabiliante performance di Enrico Michetti si sta ridimensionando di giorno in giorno, come il “consolidato” 28% di Roberto Gualtieri, l’attenzione mediatica è più che mai concentrata sui cinghiali della Raggi, benché sparsi nelle aree urbane da nord a sud, e sull’endorsement di Beppe Grillo “Avanti con coraggio” per Virginia in veste da legionaria.

Analogamente a quanto era avvenuto con l’assoluzione definitiva per il caso Morra, vicenda giudiziaria a cui erano appese le speranze del Partito democratico di tenerla fuori dalla competizione per Roma, anche le parole politicamente forti con cui Ignazio Marino ha stigmatizzato la disinvoltura del Pd nel candidare chi l’ha cacciato con ignominia davanti a un notaio nel 2015 e ha accettato le scuse della sindaca uscente per gli attacchi ingenerosi di allora hanno avuto scarsa evidenza mediatica. Oppure sono state generalmente liquidate e squalificate come la vendetta postuma di uno sconfitto.

Nell’intervista rilasciata al Fatto domenica 26 settembre l’ex sindaco ha espresso sorpresa per le reazioni a “una riflessione veritiera” e ha sottolineato l’incongruenza politica di Gualtieri che aveva definito “un errore politico” la sua destituzione per via notarile senza sfiduciarlo alla luce del sole in consiglio comunale, ma poi ha attualmente ricandidato quei consiglieri che hanno preferito liquidare “il marziano” dimettendosi in massa davanti a un notaio: 5 di quei 26 ora sono in lista con lui. E ha riportato l’attenzione su una questione cruciale particolarmente rilevante nell’ultimo miglio di una campagna elettorale dominata dall’incertezza e dalla disaffezione con un preannunciato elevato tasso di astensione: la distanza tra gli elettori e la nomenclatura partitica. Allora, secondo Marino, gli elettori dem avevano apprezzato “le scelte strategiche” che fece da sindaco ma “il Pd in quanto nomenclatura” non apprezzava la sua libertà intellettuale.

Al netto dei problemi stratosferici a cui si è trovato di fronte Marino, ai limiti oggettivi della sua gestione della macchina burocratica, alle gigantesche gaffe comunicative, alle troppe dichiarazioni in libertà, va sottolineato che nutriva quel sincero “progetto di trasformazione che avrebbe potuto fare bene alla città” e che la stessa Raggi gli ha riconosciuto nel ribadirgli le scuse per i giudizi trancianti e la foga polemica a tratti irrispettosa.

A queste dichiarazioni sulla candidata più avversata di sempre da parte del “marziano”, più alieno nel suo ex-partito che a Roma, il Pd romano e l’incolore Gualtieri dovrebbero prestare una certa attenzione e non dare per scontato che sul recente passato basti “metterci una pietra sopra” come ha serenamente chiosato Giulia Tempesta, una dei 26 consiglieri comunali che liquidarono la stagione di Marino e ora si è ricandidata per amministrare la capitale con il “nuovo Pd”.

A differenza della Raggi, che ha ritenuto doveroso già diversi mesi fa scusarsi per la conferenza stampa con le arance – quando il Pd romano e i vertici capitolini erano stati travolti da Mafia Capitale poi derubricata a Mondo di Mezzo e Ignazio Marino era indagato per peculato –, gli affossatori notarili rivendicano la loro scelta di allora in quanto “costretti” insieme a quella odierna di rimettersi in pista con Gualtieri per “aprire una fase nuova senza rancore reciproco” come hanno dichiarato in coro. E Gualtieri dal canto suo avrebbe provato a gettare acqua sul fuoco tributando riconoscimenti un po’ tardivi e improbabili a Ignazio Marino, “un sindaco importante” a cui avrebbe anche chiesto consigli sull’amministrazione della Capitale.

A valutare la credibilità, la coerenza e l’affidabilità dei candidati saranno gli elettori; e quelli del Pd con buona memoria, molti dei quali avevano riposto fiducia in Marino ed erano rimasti alquanto sconcertati dalle modalità della sua liquidazione, avranno di che riflettere.

Intanto la Sfida Capitale nell’imminenza del voto si rivela quanto mai avvincente sul fronte delle giravolte, dei riposizionamenti, degli aggiustamenti delle strategie, delle “rivelazioni” della vigilia: Michetti, il candidato imposto dalla Meloni e dato al 36%, viene scaricato platealmente da Giancarlo Giorgetti che tifa Carlo Calenda, il quale cambia ancora strategia e per attrarre gli elettori di destra mostra il tatuaggio SPQR, suscitando le reazioni sdegnate delle piddine Valeria Fedeli e Simona Malpezzi che denunciano inorridite last minute “la vera natura di destra” della candidatura di Calenda.

Senza particolari meriti Virginia Raggi, che continua a fare la sua decorosa campagna elettorale, finisce per impersonare credibilmente la legionaria romana che va “avanti con coraggio“.

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