Dopo le due assoluzioni in primo grado ed in appello per il caso nomine che l’ha accompagnata con un accanimento mediatico senza precedenti durante l’intero mandato, per Virginia Raggi è arrivata l’assoluzione definitiva con la rinuncia da parte della Procura generale presso la corte d’Appello al ricorso in Cassazione ed il relativo passaggio in giudicato della sentenza di secondo grado. Il mancato interesse dell’accusa ad impugnare la sentenza di assoluzione dal reato di falso per la nomina, poi ritirata, di Renato Marra, fratello dell’allora capo del personale al Campidoglio Raffaele, era già implicito ed annunciato dalle motivazioni dei giudici di appello dove veniva esplicitato come “dalle risultanze processuali risulti senz’altro dimostrato che la sindaca sia stata sostanzialmente raggirata dai fratelli Marra”.

Virginia Raggi ha commentato sobriamente sulla sua pagina Facebook rinnovando la sua fiducia nella Giustizia, che vale la pena di sottolineare ha dimostrato nei fatti con un comportamento conseguente dal 2016 ad oggi, ed ha aggiunto: “Questa notizia è la conferma che ho agito con la massima trasparenza e con l’amore che provo nei confronti della città e dei cittadini. Sono sempre andata avanti a testa alta”. Nel dicembre del 2020, subito dopo l’assoluzione, e quando aveva già da mesi manifestato la volontà di ricandidarsi, aveva commentato l’assoluzione con parole molto nette ed inequivocabili: “È un vittoria mia, del mio staff, delle persone che mi sono state vicino in questi lunghi anni di solitudine politica ma non umana. Credo che debbano riflettere in tanti anche all’interno del M5s. Ora è troppo facile provare a salire sul carro del vincitore con parole di circostanza dopo anni di silenzio”.

E dunque oggi tra i molti personaggi politici, oltre i tantissimi organi di informazione (quasi tutti), che “dovrebbero chiedere scusa a Virginia Raggi che lo merita per aver lavorato duramente sempre alla luce del sole” come ha commentato Francesco Silvestri, deputato romano del Movimento 5 Stelle vanno inclusi tanti, a vario titolo “vicini” o comunque non schierati su fronti contrapposti: dai nemici all’interno del M5s a quelli infiniti nel Partito Democratico, a cominciare dai dirigenti.

Infatti, basta tornare indietro alla vigilia della sentenza di assoluzione in appello per calarsi nel clima diffuso attorno a Virginia Raggi. Sul Fatto del 19 gennaio 2020 Marco Travaglio riportava le parole di Carlo Calenda ad 8 e mezzo dopo un incontro con vertici del Pd: “il Pd mi ha detto che aspetta la condanna della Raggi per fare l’accordo con i 5S”. E “naturalmente” Calenda non è stato mai smentito nonostante la dichiarazione fosse di particolare gravità perché sconfessava brutalmente la sensibilità “garantista” ostentata fin troppo per giustificare la presenza nella vita politica di condannati per reati ben più rilevanti di quello contestato alla Raggi. Ed inoltre dimostrava l’adozione di una doppia morale sommamente ipocrita: a Roma la Raggi fuori dalla vita pubblica per una condanna comminata in via preventiva e contro ogni evidenza giuridica per un tornaconto politico, mentre a Milano si tenevano tranquillamente Giuseppe Sala sindaco dopo la condanna per falso in atto pubblico, la stessa per cui la Raggi era già stata assolta in primo grado.

Insomma, in quei giorni data per scontata una condanna per togliersi di torno il rischio della “seconda ondata”, secondo la graziosa definizione di Calenda, e lasciando diffondere la notizia come se avesse un qualche fondamento, il Pd si apprestava finalmente a sedersi ad un tavolo con il M5s per trattare allegramente sul “candidato comune” che non c’ era e non c’è mai stato. E quanto la determinazione di negare l’esistenza della Raggi abbia mal consigliato il Pd si è visto fino all’ultimo, con il tentativo in extremis di imporre fuori tempo massimo e quasi con un blitz a un M5s senza bussola una convergenza su Nicola Zingaretti, scongiurata dalla reazione della Raggi e da un sussulto di dignità e coerenza last minute da parte di Giuseppe Conte.

Per Virginia Raggi poter correre in una competizione che doveva esserle preclusa è già una vittoria politica e poterlo fare libera da ogni pendenza giudiziaria è un risarcimento morale. Ma naturalmente la partita da giocare è difficile per lei come per la città, che viene spesso descritta come apatica, rassegnata e progressivamente disinteressata alla vita politica sia per le annose delusioni sia per gli effetti del Covid.

Difficile stabilire, come fanno i giornali non particolarmente benevoli con la sindaca, per usare un eufemismo, che ora con “Due ex ministri ed un prof, per Virginia Raggi si fa dura” (Il Tempo). I due ex ministri sono Roberto Gualtieri, scongelato da Enrico Letta dopo l’impossibilità di candidare Zingaretti, e Carlo Calenda che non ha bisogno di presentazioni, comunque la si pensi.

Quanto al mitico candidato di un centrodestra, che non sa ancora bene a che santo votarsi e dopo Bertolaso e Gasparri si starebbe buttando sui “civici”, sembra possa corrispondere ad Enrico Michetti, sconosciuto a livello nazionale, ma “riconoscibilissimo dai tassisti, conosce meglio di chiunque altro gli ingranaggi della res publica” sempre secondo Il Tempo. È una star di Radio Radio e un fan del saluto romano che “era più igienico”. Secondo una recentissima rilevazione di Tecné/Adnkronos Michetti sarebbe già al 35% con grande possibilità di aumentare; Gualtieri in una forbice tra il 32%-37%; la Raggi tra il 18%-20%; Calenda, che a sua volta ha diffuso risultati molto differenti, sarebbe tra il 14-15%.

Al primissimo posto c’è sempre, in tutte le rilevazioni, il dato degli incerti e dell’astensione mai inferiore al 44% e nell’arco di quattro mesi possono succedere e cambiare molte cose.

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