Diversi importanti politici in recenti dichiarazioni hanno bollato come infamante la richiesta di perizia psichiatrica da parte di un giudice. A seguito delle loro sortite buona parte della classe politica e dei giornalisti ha rincarato la dose. Non conosco la causa giudiziaria, per cui non vorrei entrare troppo nelle sfaccettature del procedimento. Mi pare ovvio però che, se un imputato adduce uno stato psicofisico come legittimo impedimento alla partecipazione a un processo, il giudice possa ordinare una perizia in cui accanto alla valutazione fisica vi sia quella psichica.

Affermare che tutta la storia di quella persona valida il fatto che non sia pazza è una bestialità medica. In primo luogo perché una perizia psichiatrica non dirime solo fra pazzi e non pazzi (tra l’altro in medicina questa terminologia non è più usata da cento anni) ma può valutare se una persona sia ansiosa o depressa oppure affetta da una miriade di altri piccoli o grandi disturbi. In secondo luogo perché, come per tutte le malattie, può essere che io stia bene per ottanta anni, poi mi ammali. Per cui addurre la storia personale non ha senso. Sarebbe come se un giocatore di calcio dicesse che, in base alla sua storia personale di atleta, non può riportare una frattura.

Fatta questa premessa vorrei entrare sul problema che queste affermazioni denotano: uno stigma sociale ancora presente verso le malattie psicologiche e psichiatriche è ancora molto diffuso nella classe politica e giornalistica. Colui che soffre per disturbi della sfera mentale sarebbe quindi un incapace, una persona che non può ricoprire ruoli importanti o che, per mancanza di volontà, non riesce a rimanere sano psicologicamente. All’inizio della mia carriera, quarant’anni fa, questo stigma negativo verso la psichiatria era molto forte e i pazienti venivano in studio con gli occhiali e il bavero del cappotto, nascondendo il volto. Ho sempre avuto un ufficio con una entrata distinta dall’uscita, per cui chi era in sala d’attesa non si incontrava con chi aveva finito la visita. Questa precauzione era utile perché le persone tendevano a nascondere la loro sofferenza.

Con gli anni lo stigma sociale nella società è fortemente diminuito. I giovani che vedo ora ne parlano con gli amici per poi scoprire che vanno dallo stesso psicologo o da un collega. Addirittura in tante situazioni andare “a fare” un poco di psicoterapia fa “figo”. Mi è capitato di sapere che alcuni si vantavano di essere in cura, anche se avevano partecipato a un solo colloquio. Un libro famoso del collega prof G. B. Cassano del 1993 fece fortuna anche perché riportava la testimonianza di persone famose che avevano accettato di comparire come testimonial.

Recentemente atleti molto importanti come Michael Phelps, vincitore di 23 medaglie d’oro olimpiche, e Simone Biles con le sue sette medaglie hanno esternato le loro sofferenze psichiche. Se si va a leggere le storie di personaggi famosi del passato emerge che poeti (Poe), romanzieri (Dickens), cantanti (Robbie Williams), sacerdoti (Martin Luther) e politici (Churchill) hanno sofferto delle patologie della sfera mentale. Anche un famoso ex presidente del consiglio, ministro dell’Interno nonché presidente della Repubblica (F. Cossiga), in base alla testimonianza di molti suoi amici, ne soffriva e assumeva farmaci.

I dati attuali ci dicono che in Europa i farmaci che agiscono sul sistema nervoso sono la seconda categoria acquistata in farmacia dopo quelli che agiscono sul sistema cardiocircolatorio. Negli Usa la proporzione è rovesciata e al primo posto ci sono le molecole che agiscono a livello mentale. Le statistiche, difficili da ottenere perché c’è una certa residuale reticenza, parlano di almeno metà della popolazione che soffrirà, nel corso della vita, per qualche acciacco a livello psicologico e di circa 25% di persone che ne soffrono in questo momento. Facendo le debite proporzioni possiamo affermare che 15 milioni di italiani in questo istante sono alle prese con qualche piccolo o grande demone che attanaglia la sfera emotiva. D’altronde questi dati hanno una certa logica. Più un apparato o una macchina sono complessi, più è facile che abbiano qualche problema. La struttura di gran lunga più complicata che esista al mondo è il cervello umano con 100 miliardi di neuroni e per ogni neurone centinaia di connessioni. Fate voi i conti di questa mastodontica e incommensurabile complessità.

Sui giornali ogni tanto appare la notizia di un tizio che uccide la moglie o i figli per poi suicidarsi. Immancabilmente i vicini di casa appaiono stupiti e affermano: “era tanto per bene!”. Proprio questo perbenismo, questa reticenza a esternare le difficoltà piccole o grandi che ci attanagliano, la paura di essere considerati folli, pazzi, da internare (anche se ora i manicomi non esistono più) è un grave problema. Porta gli individui a tenere dentro di sé o al massimo in famiglia i “panni sporchi” senza l’idea di farsi aiutare dagli amici, dai parenti e da qualche esperto psicologo. Alcuni casi gravi che ognuno conosce vengono visti come uno spauracchio: “diventerò come lui, i farmaci mi faranno diventare uno zombie, non guarirò mai”. In questo momento storico posso al contrario affermare che, con gli strumenti a nostra disposizione, tutti i pazienti avranno un miglioramento e oltre l’80% guarirà dalle patologie.

I politici che hanno bollato come “folle” l’idea di una perizia psichiatrica per uno di loro, senza rendersene conto, hanno alimentato lo stigma sociale avverso alle patologie psichiatriche, relegando la sofferenza alla sfera della vergogna. Occorre fare il lavoro inverso. Mettere i panni sporchi fuori dalle case, far capire che non c’è nulla di male a soffrire per qualche malanno e accettare le cure con la ragionevole speranza di poter migliorare e guarire.

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