Sono ripartiti, uno, due, a seconda dei giorni, o perlomeno hanno ricominciato a darne timidamente notizia nei telegiornali e sui giornali, perché in realtà non si erano mai fermati: sono gli omicidi delle donne.

Ho recentemente letto la bella recensione di Sandro Veronesi all’ultimo libro di Edoardo Albinati: Il velo pietoso, che ruota – a partire dal caso di Giovanna Fratello, bambina uccisa dalla incuranza clinica – intorno al tema della crescente e dilagante cialtroneria. Veronesi in particolare si sofferma su un punto che Albinati sottolinea con forza: la necessità di fare qualcosa, di fare da sé. È un’idea che mi gira per la testa da tempo, e che mi ha fatto diventare ancora più noioso nei confronti delle persone a me vicine, che tormento con il cosa possiamo e dobbiamo fare. Così il mio passato e i miei anni oltre che la lunga frequentazione dell’India, mi sono venuti in aiuto.

Partiamo dall’India. L’India è un paese violento, molto violento, soprattutto nei confronti delle donne: stupri, matrimoni forzati, omicidi per rifiuto delle regole, pestaggi. Allora in giro per il paese sono sorti piccoli gruppi di donne, soprattutto nelle città ma anche nei villaggi, che si sono dati il nome di “Sari Rosa” (il sari è il tradizionale abito delle donne indiane) che auto-organizzandosi hanno cominciato a parlare della violenza che subiscono quotidianamente fra le mura domestiche e fuori, e hanno iniziato ad andare a “discutere” con i maschi violenti, mariti, padri, fratelli, fidanzati, colleghi, compagni di scuola o semplici vicini di casa per spiegare loro che così non si fa, che non va bene. La replica della prima discussione è meno dialogante, vola qualche cazzotto e qualche bastonata, ma con il tempo, è stata sempre meno necessaria.

Non potevo a questo punto non pensare al servizio d’ordine dei primi tempi del movimento degli studenti, ci siamo organizzati e abbiamo difeso le manifestazioni che irragionevolmente venivano vietate, ma anche gli spazi di agibilità. Qui è doveroso ricordare che dopo i primi tempi il servizio d’ordine è andato molto oltre i compiti iniziali e ci sono stati episodi di violenza gratuita ed eccessiva. E le forze dell’ordine? E i servizi sociali? E le organizzazioni di femministe? Beh, diciamo che i primi due sono insufficienti, sia sul piano del numero sia sul piano della preparazione, ma anche dell’impegno. Per il terzo gruppo, come sostiene spesso Natalia Aspesi, alcune a mio parere sono troppo impegnate a tradurre osservazioni irriguardose in molestie e stanno perdendo di vista questo fenomeno, purtroppo ingigantito dalla pandemia. Stendo un velo pietoso, per l’appunto, sui media.

Giustizia fai da te? Forse. Risoluzione del problema? Chissà. Riduzione temporanea? Forse. Scossa alle istituzioni? Non so. Sicuramente prima di arrivare ai Katanga ci saranno dei passaggi, sarà una questione di contenuti ma anche di misura, ma soprattutto di voglia di fare qualche cosa, senza scuse. Casomai resto a disposizione.

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