“Come ha detto coach Bud: ora dobbiamo vincere di nuovo”. Tiene stretto in una mano il trofeo di campione Nba e con l’altra coccola il premio di Mvp delle Finals, ma Giannis Antetokounmpo già pensa al futuro. Forse perché quando infili una gara-6 da 50 punti, 15 rimbalzi e 5 stoppate – numeri inspiegabili, che in un match per l’anello mancavano dai tempi di Bob Petit, correva l’anno 1958 – capita di essere presi da una certa vertigine e di voler puntare ancora più in alto. O forse perché guardare oltre l’orizzonte è l’unico modo che un gigante ha per stare al mondo. Quel che è certo che è i Milwaukee Bucks ritrovano un titolo che mancava da 50 anni esatti e che lo riportano sulle sponde del lago Michigan grazie alle spalle larghe di un ragazzone greco che in 26 anni ha già vissuto la sua personalissima Odissea.

Un viaggio partito da lontano e iniziato ancora prima che lui nascesse, con i genitori che scappano dalla Nigeria ricchi solo di speranze. È il 1992 e Charles e Veronica Adetokunbo lasciano Laos senza una meta precisa, puntano semplicemente verso l’Europa e quando incontrano la Grecia e Atene provano a restarci. Due anni più tardi, ecco che nasce Giannis. Il quartiere che fa da cornice alla sua infanzia si chiama Sepolia e il politically correct imporrebbe di definirlo come “un posto complicato”. La verità è che è una zona gonfia di criminali e piccoli spacciatori e se abiti lì dentro è soltanto perché non hai modo di andare altrove. Le case sono alveari che strabordano di immigrati e clandestini come Giannis, appunto, che il passaporto ellenico se lo sogna e che non ha neppure quello nigeriano: è un apolide, anche se mangia souvlaki e il suo alfabeto va dall’alfa all’omega.

Per potersi meglio integrare, i genitori hanno battezzato ciascun figlio con un nome greco e hanno persino cambiato il loro cognome in Antetokoumpo, che all’orecchio di un ateniese suona meglio. Negli anni 2000, però, il Paese è travolto da una crisi che azzanna pure il Partenone e, in una penisola infuocata da istanze nazionaliste, per un ragazzino nero e senza Patria crescere si riassume in un affare complicato. Sin da piccini, infatti, Giannis e i suoi fratelli sono costretti a vendere per strada borse, scarpe e orologi taroccati. E c’è da stare attenti, perché se la polizia ti becca c’è l’estradizione. Quando va bene si porta a casa qualche soldo, altrimenti niente cena. In tutti questi affanni resta quindi difficile comprendere dove si possa trovare tempo per lo sport, ma un bambino è sempre un bambino e quando davanti a sé trova una palla che rimbalza o le dà un calcio o comincia a palleggiare.

Giannis si innamora del basket frequentando una piccola palestra di Sepolia. Ci si rintana ogni volta che può con suo fratello Thanasis, ma in casa c’è un solo paio di scarpe e allora ai due tocca alternarsi. Tante volte resta in palestra a dormire, appallottolando la felpa per farsi un cuscino, perché il campo dista 8 chilometri dal loro monolocale e la stanchezza pesa pure più della pancia vuota. Ed è proprio in quella palestra che, ormai quattordicenne e già ben oltre i due metri d’altezza, Giannis viene notato da un agente che lo invita a unirsi alle giovanili del Filathlitikos, club di Seconda divisione greca,con un accordo che gli garantirebbe qualche pasto in più. Prima di accettare, tuttavia, il ragazzo chiede che quel cibo sia assicurato anche alla sua famiglia, perché se mangia lui devono mangiare tutti.

Nel febbraio 2013, poi, ecco la grande opportunità. Il fisico di Giannis è ancora lontano dalle linee del dio greco che di lì a qualche anno il mondo del basket inizierà ad ammirare, ma ha comunque risposto bene alla nuova dieta e le sue braccia e le sue gambe sembrano stendersi come prolunghe. È pronto, insomma, a partecipare al suo primo torneo internazionale, a esibirsi davanti a scout da tutto il mondo. In quell’occasione, a dire il vero, Giannis non fa un figurone, ma ruba comunque l’occhio a una manciata di squadre Nba, che cominciano a immaginare cosa potrebbe diventare da grande. Nessuno, però, si aspetterebbe di trovarselo eleggibile già per il Draft di quell’anno. Il New York Times, anzi, arriva a suggerirgli di restare un altro paio di stagioni in Europa, per raccogliere quei minuti e quella massa necessari a farsi trovare pronti per la Lega più competitiva del mondo.

Giannis, tuttavia, è ambizioso e ha pure fretta di cominciare a guadagnare sul serio. La sera del 27 luglio 2013, così, è il suo nome ad essere accostato con la 15esima chiamata ai Milwaukee Bucks. In previsione dell’evento, lo Stato greco si sveglia tutto d’un colpo e concede a Giannis la cittadinanza onoraria per meriti sportivi. Mandare al Draft un apolide sembrava poco opportuno al governo di Atene, tuttavia, l’operazione si traduce nell’ennesima ondata di odio nei confronti di un ragazzo che greco non lo sarà mai. Almeno per una fetta dell’opinione pubblica, almeno finché non farà comodo ritrovarsi un campione in Nazionale.

È l’autunno del 2013 e Giannis si allaccia per la prima volta gli scarpini su un parquet Nba. Con sé ha portato la famiglia, perché la regola è sempre la stessa: se mangia lui devono mangiare tutti. Ha un paio d’anni di contratto garantiti a delle cifre misere se paragonate agli stipendi delle grandi star, ma che per un ragazzo di Sepolia sembrano impensabili. E così decide di togliersi uno sfizio e regalarsi la Playstation 4. La compra insieme al videogame Nba 2k14, in cui per la prima volta c’è pure lui, anche se il suo valore (60) è il più basso dell’intera Nba, segno di come anche in quel mondo goda di assai poco credito. Tra tutti i giocatori replicati nel gioco, infatti, ce n’è soltanto un altro considerato scarso quanto Giannis: Chris Middleton, che gli fa compagnia nei Bucks.
Sono passati otto anni e ora festeggiano insieme. Il resto è storia, con Antetokoumpo che ha già vinto tutto quello che poteva vincere ma che ha ancora fame, perché quando cresci a Sepolia sai bene che la tua personale Odissea non potrà mai dirsi finita. Anche se oggi in mezzo a tante lacrime, non può non scappare un sorriso.

Twitter: Ocram_Palomo

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