I Cinque Stelle aboliscono il “vaffa” per statuto. La notizia poteva dare il là a tutta una serie di analisi sull’ennesima mutazione genetica del Movimento ma i censori da buoncostume e i detrattori di sempre fanno altro, non applaudono e neppure stanno in silenzio. Fanno il tifo, si lanciano cioé in piccoli sfottò compiaciuti, perlopiù a mezzo social. Tra gli araldi dello sberleffo, il notista politico del Corriere della Sera Antonio Polito dileggia via twitter la scelta come segno di una maturità tanto tardiva da risultare comica. “Il nuovo statuto del M5s è uno spasso: “Le espressioni verbali aggressive devono essere considerate al pari di comportamenti violenti”, gli fa eco il collega di Qn David Allegranti.

Ci si poteva aspettare di più, tipo: un ragionamento su Beppe Grillo e i suoi che perdono la ritualità dell’insulto, quello che alle origini veniva gridato a una piazza libera e piena che faceva anche paura e oggi non c’è più; oppure sul turpiloquio in sé, che ha trasformato la rabbia individuale per la Casta in un grido finalmente collettivo che andava oltre gli asfittici miagolii dei partiti tradizionali. E ancora. Che il M5S li rincorre fino a cambiare paradigma anche sul piano del linguaggio: meno “vaffa”, più invettive da “Cicerone contro Catilina”: la rabbia che c’è ancora, ma è rivolta ai senatori inter pares, non più al “popolo”. E via dicendo.

E invece? Di fronte alla notizia del “vaffa” che va in soffitta si scatena solo il tifo. Quello ad esempio di Laura Cesaretti del Giornale che, inclemente, chiede via social: “Su come mettere le posate a tavola c’è un altro comma?”. Elena Polidori dalle pagine della Nazione commenta: “E’ davvero tempo per i 5 Stelle di morire democristiani”. Gli sfottò si moltiplicano con la forza dei follower.

Anche i politici optano per la semplificazione. Davide Faraone, senatore e presidente del gruppo di Italia Viva a Palazzo Madama che sentenzia: “Non dovrebbe servire uno statuto per disciplinare l’uso delle parole ed il divieto delle parolacce”.

E dietro gli va anche Gaetano Quagliariello, che fu radicale ma divenne moderato con Forza Italia e – in quanto tale – intorno al “vaffa” ha costruito il recinto dove confinare gli interlocutori politici per alleanze di governo: “Non si può passare dal #vaffa all’essere governativi a tutti i costi, alleandosi con i verdi, con i rossi e con i gialli senza dare spiegazioni. Questa è la morte della #politica”.

La discussione è di per sé surreale, ma a “pesarla” rivela qualcosa di più. Sempre sul filo del costume politico si può notare infatti come proprio la categoria dei giornalisti detrattori e degli avversari di ogni colore abbia usato il “vaffa” sdoganato (e ora autocensurato) dai grillini, senza pagare i diritti d’autore. Basta scorrere le cronache dei giorni scorsi che raccontano gli strappi tra Grillo e Conte: “Beppe furioso, ma il vaffa non parte” è il titolo di una settimana fa della stessa Polidori che oggi sbeffeggia il bon ton ritrovato. “L’auto vaffa-day di Grillo”, è il titolo di un corsivo di Claudio Cerasa per Il Foglio.

E i politici non sono da meno: “Il M5s sta finendo come è iniziato, con un vaffa day”, si legge nella nota della vicepresidente del gruppo Forza Italia al Senato Licia Ronzulli. “Nati coi vaffa ora si mandano affa…” è l’aulico commento del vicepresidente della Camera dei deputati Fabio Rampelli (Fdi). Al “moriranno democristiani” replica subito Clemente Mastella sentendosi chiamato direttamente in causa: “In Dc ci separavamo ma da amici, nei 5S volano vaffa”. Insomma, quel vaffa sdoganato in politica ricorre ormai nelle dichiarazioni degli indignados. E poco ci manca che mancherà a tutti, a partire da loro.

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