Con Franco Sircana, amico fin dal liceo, storico militante radicale, parlavamo spesso di scrivere un libro che avremmo intitolato “Mussolini, pfui”, per dimostrare che il Duce non è stato capace, in venti anni di potere assoluto, di fare dell’Italia un paese più ricco e più moderno: un giudizio che a noi appariva ovvio, ma che non è condiviso da tutti gli italiani. Purtroppo Franco è venuto a mancare prematuramente e solo ora provo a buttar giù qualche considerazione sull’argomento, sollecitato anche dalla lettura di un recente libro di Francesco Filippi (Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo), dal quale attingo molte delle notizie che seguono.

L’economia. Una delle “avventure” del Duce in economia si chiamò “Quota Novanta”, una operazione volta a fissare il cambio fra la moneta italiana e quella inglese a 90 lire per ogni sterlina. Per rafforzare la lira, il Duce dovette imporre il taglio delle retribuzioni di quasi tutte le categorie di lavoratori salariati, il che portò il paese alla stagnazione economica, legata alla contrazione dei consumi. Questo intervento, dunque, rese i lavoratori italiani non più ricchi ma più poveri, riducendo la loro capacità di spesa di circa il 15%. Una seconda avventura fu quella della “autarchia” (produrre tutto ciò di cui il Paese ha bisogno all’interno dei confini nazionali). Simbolo di questa fallimentare operazione fu la “battaglia del grano”, con le famose immagini dei Duce a petto nudo che falcia quantità inverosimili di grano.

Italiani più ricchi? Una falsità della propaganda fascista. In realtà, nel Ventennio la maggioranza dei lavoratori vide ridursi stipendi e salari. Naturalmente, la situazione si aggravò per la “crisi del ’29”, la più tremenda crisi mondiale del secolo, che colpì soprattutto i lavoratori, i cui salari reali vennero congelati e solo dieci anni dopo tornarono al livello del 1929.

La condizione delle donne. Per il fascismo il solo ruolo utile delle donne era quello di “fattrici”, che donassero nuovi figli alla Patria. Le donne furono colpite sul fronte economico, espulse dal mondo del lavoro, e su quello dell’istruzione (al massimo, potevano essere “maestre giardiniere”). Nel 1925 fu riconosciuto loro il diritto di voto, ma solo con paletti molto stretti. Insomma, il trionfo del maschilismo. Ma il risultato più paradossale delle “campagne demografiche” del Duce fu che il tasso di fertilità degli italiani si contrasse dai 30,54 bambini nati ogni mille abitanti nel 1921 ai 22,40 registrati nel 1936.

Le pensioni. Sbaglia anche chi afferma che fu il fascismo a introdurre le pensioni, perché una prima forma di garanzie pensionistiche fu introdotta – per impiegati pubblici e militari – dal governo Crispi nel 1895. Seguirono altre misure, così che nel 1919 tutti i lavoratori italiani avevano già diritto alla pensione.

Lo Stato corporativo. Nel 1926 un insieme di norme (“Disciplina giuridica dei rapporti collettivi del lavoro”) vietava lo sciopero e la serrata ponendo sotto controllo anche i datori di lavoro, ponendo le basi per lo “Stato corporativo”.

Le bonifiche. In gran parte falso anche il mito delle “bonifiche”. L’obiettivo del fascismo – recuperare 8 milioni di ettari di nuove terre – fu mancato clamorosamente, riducendosi a 4 milioni, di cui 2 in gran parte recuperati già dai governi precedenti. Anche il contenimento della malaria (quasi 250mila casi nel 1922) iniziò veramente dopo il 1935 e la malaria fu sconfitta solo dopo la guerra, grazie anche al DDT portato dagli americani.

L’edilizia. Dal punto di vista urbanistico, il fascismo fece poco per l’edilizia popolare, privilegiando progetti che avessero un impatto di propaganda: spesso discussi come lo sventramento del quartiere di Borgo a Roma, ma a volte pregevoli, come l’Università “La Sapienza” e l’Ospedale Forlanini a Roma. In cambio, la partecipazione alla Seconda guerra mondiale portò a distruggere due milioni di vani abitativi e danneggiarne gravemente un altro milione.

Il Duce integerrimo? Del tutto falsa l’immagine di un Duce disinteressato alla ricchezza e integerrimo. Basti pensare alle diverse elargizioni di denaro in favore di Mussolini da parte della Camera (nel 1938, un milione di lire, pari all’intero ammontare delle indennità per tutti i senatori), al privilegio di abitare gratuitamente a Villa Torlonia, al comportamento familistico verso la figlia Edda ed il genero Galeazzo Ciano. Del resto, anche il delitto Matteotti fu deciso per impedire al leader socialista di denunciare, in un intervento alla Camera, gli intrallazzi del Duce e dei suoi fedelissimi con la Sinclair Oil, incaricata di sfruttare i giacimenti petroliferi italiani.

La mafia. Del tutto infondati i proclamati successi di Mussolini contro la mafia. Dopo aver abolito – già nel gennaio del 1923 – la concessione dei latifondi alle cooperative contadine, nell’ottobre del 1925 il Duce affidò al prefetto di Palermo, Cesare Mori, l’incarico di sconfiggere la mafia. Mori agì con una indicibile brutalità che lo portò a competere con il Duce per popolarità, così che Mussolini, nel 1929, dichiarò che la mafia “era sconfitta” e mandò Mori in pensione anticipata (a 57 anni).

Le guerre coloniali. Secondo uno studio della Banca d’Italia, l’occupazione della Libia e dell’Albania, la guerra per l’occupazione dell’Etiopia e la partecipazione alla guerra di Spagna ebbero un costo di 5.275 miliardi di lire correnti: superiore di circa due terzi rispetto a quello della Prima guerra mondiale. Oltre a mostrare al mondo la ferocia delle truppe italiane, con largo uso di gas e stragi di civili. A pagare in parte le spese di queste imprese belliche furono le donne italiane, con la penosa vicenda dell’“oro alla Patria” (3,5 tonnellate di oro, ma anche 114 di argento).

Il razzismo. Per Mussolini più che di razzismo si può parlare di “mito della razza”: quasi una farneticazione. Ma questo non impedì al Duce di collaborare alla “caccia agli ebrei”, come dimostrano – oltre alle leggi razziali e alla atroce vicenda del Ghetto di Roma – i numerosi campi di concentramento (Fossoli e decine e decine di altri in tutta Italia).

Per concludere, è giusto ricordare che la partecipazione alla guerra a fianco dei nazisti costò all’Italia 472mila morti, di cui un terzo civili. Oltre alla già ricordata “guerra civile”, pagina dolorosa come poche nella storia d’Italia.

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