Quest’anno più che in passato, il 1° maggio dovrebbe essere ricordato nei suoi principi fondanti: la lotta, il conflitto quale strumento a disposizione dei lavoratori per ottenere diritti che né il capitale né la politica concederebbero spontaneamente.

Da troppo tempo invece assistiamo a una storpiatura della realtà, ad una falsificazione di questo giorno di festa, che non è più la memoria del valore delle lotte che ci hanno portato nell’era dei diritti. Per molti la festa del 1° maggio è stata da sempre percepita come un’allegra scampagnata, si spera nel ponte, così da prolungare i momenti di svago, i momenti di non lavoro. Per carità, tutto bello e lecito, però è ben lontano dall’onorare questa giornata, per cui forse basterebbe ritagliarsi un breve momento per ricordarne il senso, tra una mangiata e una bevuta.

Sembra una banalità, ma non lo è, perché è proprio la perdita della memoria sull’importanza di quelle che furono le lotte operaie a consentire al potere di imporci una versione falsificata del 1° maggio, ormai divenuto un contenitore di qualsiasi tema abbia a che fare con il lavoro, purché non sia paradossalmente il vero motivo (l’importanza della lotta, della conflittualità) per cui è stata istituita questa festa in Italia e in altre parti del mondo.

Così, all’omissione nei palchi – non in tutti in verità – in questa giornata di festa, seguono altri 364 giorni di aperta ostilità contro il vero significato del 1° maggio. La conflittualità viene sostituita con la pace sociale, la precarietà dovuta alla privazione dei diritti conquistati con le lotte viene spacciata per flessibilità, la reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento ingiusto (leggasi articolo 18) viene considerato un totem, e così via.

Quest’anno scenderemo a un gradino più basso: il 1° sarà ricordato come il giorno dei “controlli a tappeto” del “cosa possiamo e cosa non possiamo fare”, della ormai quasi definitiva rimozione della crisi del lavoro quale conseguenza dell’abbandono della conflittualità dal lato del lavoro, con una generalizzata crescita della disuguaglianza e una espansione senza limiti del potere delle multinazionali. Il vuoto verrà probabilmente riempito con frasi del tipo “è colpa della pandemia, non possiamo farci nulla, speriamo nella transizione ecologica”.

Fuori dalla retorica del potere, se si vuole veramente cambiare rotta, il 1° maggio deve anzitutto essere riabilitato dentro di noi. La lotta è la chiave, oggi come in passato.

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