I lavoratori del Comune di Milano si trovano di fronte a un rischio: non essere più, d’ora in poi, cittadini milanesi come gli altri. Perché se Giuseppe Sala e la sua giunta non faranno marcia indietro sul nuovo codice di condotta dei dipendenti di palazzo Marino, chi lavora negli uffici comunali non potrà più lamentarsi su Facebook di cose come queste: che il vagone della metropolitana era troppo affollato, che il parchetto sotto casa è sporco o che le strisce bianche per segnalare le nuove piste ciclabili nate nei mesi della pandemia si sono già cancellate quasi del tutto. Mezzi pubblici, pulizia della città e segnaletica sono infatti responsabilità di palazzo Marino o di aziende partecipate dal Comune: il capo del povero dipendente potrà quindi interpretare le sue lamentele come parole che “ledono l’immagine del Comune e dei suoi rappresentanti” e avviare contro di lui un bel procedimento disciplinare. Sempre che il documento approvato dalla giunta Sala non venga modificato, prima di entrare in vigore, a seguito della fase di consultazione pubblica e raccolta di osservazioni che si chiudeva ieri 20 aprile.

Questa la speranza dei 15mila dipendenti e dei sindacati, molto duri sul documento per il quale non sono stati nemmeno consultati. “Non escludo che ci saranno modifiche nelle prossime settimane”, dice a ilfattoquotidiano.it Cristina Tajani, assessora che tra le deleghe ha quella alle Risorse umane. Resta però il fatto che né il sindaco né alcun assessore hanno sinora sconfessato il testo approvato all’unanimità lo scorso febbraio. Nemmeno hanno sconfessato l’articolo 13, che tra le altre cose prescrive: “Il dipendente si astiene dal diffondere con qualunque mezzo, compreso il web o i social network, i blog o i forum, commenti o informazioni, compresi foto, video, audio, che possano ledere l’immagine del Comune di Milano e dei suoi rappresentanti, l’onorabilità di colleghi, nonché la riservatezza o la dignità delle persone, o suscitare riprovazione, polemiche, strumentalizzazioni”. Un vero e proprio bavaglio a chi, in quanto dipendente del Comune, non potrà più dire la sua, come farebbe un qualsiasi altro cittadino di Milano. Con una coincidenza, fanno notare in qualche ufficio: il nuovo codice di condotta è spuntato proprio nel periodo in cui Sala sta lanciando la campagna elettorale per essere riconfermato sindaco.

Sindacati e opposizioni in consiglio comunale contestano anche altre regole. Sempre in tema di libertà di espressione, i dipendenti non potranno intrattenere rapporti con i mezzi di informazione e dovranno astenersi “da dichiarazioni pubbliche che vadano a detrimento dell’immagine dell’Amministrazione”. Sotto accusa anche l’obbligo previsto dall’articolo 7 di comunicare “tempestivamente” al responsabile dell’ufficio la propria appartenenza ad associazioni “i cui ambiti di interesse possano interferire con l’attività dell’ufficio”, associazioni da cui il dipendente è addirittura invitato ad astenersi dal partecipare. Mentre viene demandato al dirigente della struttura il compito di valutare “la compatibilità” dell’adesione del dipendente a un’associazione rispetto al suo lavoro. Una situazione in cui potrebbe trovarsi chi per esempio partecipa all’organizzazione dell’attività sportiva del figlio che si svolga in un impianto comunale.

Di “palesi violazioni dei diritti costituzionali” parla lo storico consigliere comunale Basilio Rizzo (lista Milano in Comune): “Mi meraviglio che nel codice possano essere scritte cose del genere, ma quello che più mi preoccupa è la logica che è sottesa. L’aggettivo ‘pubblico’, in riferimento al dipendente, non è dato dal datore di lavoro, è la funzione pubblica che deve esercitare. Il datore di lavoro del dipendente pubblico non è rappresentato dall’amministratore delegato di una azienda chiamata ‘comune’, ma dai cittadini. I dipendenti pubblici hanno, tra virgolette, come loro ‘padroni’ i cittadini e a loro devono rispondere con il loro comportamento. Noi consiglieri della commissione antimafia e anticorruzione invitiamo i lavoratori, attraverso gli strumenti previsti, ad indicare se rilevano delle ingiustizie e scorrettezze nella vita dell’amministrazione (whistleblowing, ndr) e poi facciamo un regolamento nel quale diffidiamo i dipendenti stessi dal portare a conoscenza la loro attività lavorativa? Scherziamo?”.

Per Alessandro De Chirico di Forza Italia, “questo regolamento è degno del soviet supremo. Così facendo, il comune mette il bavaglio ai suoi dipendenti. Forse hanno dato fastidio le tante denunce per i disservizi dovuti al Covid, sia in merito alla salute dei lavoratori che di erogazione di servizi ai cittadini”. Qualche voce critica si alza anche tra chi siede nei banchi della maggioranza, come Carlo Monguzzi del Pd: “So che si usa nelle amministrazioni e nei privati – ha scritto nei giorni scorsi su Facebook – ma noi potevamo proprio proprio evitarcelo”. L’assessora Tajani, dipendente in aspettativa del centro studi della Cgil di Milano, nega che ci siano intenti di censura e dice: “La declinazione che è stata data all’obbligo di lealtà del dipendente all’ente non è stata ancora adottata dal Comune perché abbiamo scelto una procedura partecipativa. Ci sono quindi margini di riscrittura del testo che utilizzeremo in base alle osservazioni che cittadini, associazioni e organizzazioni sindacali hanno proposto in queste settimane”. E, nei margini, si spera tornino dentro i diritti dei dipendenti comunali. Senza metterli mai più in discussione.

@gigi_gno

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