di Federico Castiglioni

La creazione della Superlega, filtrata nel pomeriggio di domenica nel pieno dei campionati e annunciata in pompa magna nella serata, era qualcosa che saltava agli onori della cronaca a ondate sempre più frequenti negli ultimi mesi. Senza ricostruirne passo passo gli annunci e le ritirate, un probabile punto di non ritorno in questa direzione è stata l’informativa della Uefa dello scorso ottobre, dove si mettevano a nudo perdite da 600 milioni di dollari nell’ultimo anno (complice il covid e il rinvio degli Europei) e il conseguente taglio dei premi per le squadre nei prossimi cinque anni. Una mazzata non da poco per i top club, i quali oltretutto a loro volta hanno subito una contrazione notevole degli introiti nell’ultima stagione e le cui esposizioni debitorie, prima considerate sicure, sono diventate di colpo traballanti.

Le dodici (Liverpool, Arsenal, Tottenham, Manchester United, Manchester City, Chelsea, Barcellona, Real Madrid, Atletico Madrid, Juventus, Milan, Inter), al di là dei paletti e relativi possibili aggiramenti del fair play finanziario, sono pressoché tutte non solo con bilanci in rosso, ma soprattutto con pesanti crisi di liquidità. E, si noti bene, con proprietà fortemente orientate verso la grande finanza statunitense e non solo.

La bolla finanziaria sta vibrando pericolosamente e la governance attuale è apparsa negli ultimi mesi fin troppo passiva di fronte alla situazione. Passiva e, aggiungerei, ingenua nel pensare che quelli fossero solo rumors e che dentro l’ECA guidata da Andrea Agnelli non si stesse consumando il “fattaccio”. La proposta di riforma della Champions League a partire dal 2024, che per molti aspetti va nella stessa direzione della Superlega e sulla quale si lavorava da mesi, ora alle dodici grandi non basta più. L’obiettivo dichiarato è un cambio di prospettiva sul calcio, con nuovi mercati e cercando di intercettare una domanda differente da quella tradizionale. Salire di livello per non rischiare più di affogare. O uscire contro il Porto.

Per capire gli sviluppi di questa operazione ci vuole la palla di vetro, anche se è certo che le dodici si siano fatte una serie di conti prima di aprire la questione e stiano lavorando al progetto da mesi e con precisi partner. Intanto, si è trovata la soluzione per coprire le necessità finanziarie più impellenti grazie all’enorme afflusso di capitali d’investimento tramite la JP Morgan (si parla di circa 4 miliardi di euro), nonché a margine per le società quotate in borsa con una discreta impennata dei propri titoli azionari, perché comunque il denaro fresco non fa mai schifo.

Bisognerà in primis vedere se e come sia possibile integrare questa eventuale super-competizione nella cornice Uefa o se le strade si separeranno. Nel caso della seconda ipotesi, bisognerà capire invece come la Uefa potrà spartire la torta e soprattutto quanto questa si ridurrà, perché al di là di tutto sembra complicata la stessa sopravvivenza della confederazione senza gran parte dei suoi gioielli più luminosi, anche se ad esempio PSG e Bayern Monaco sembrano ancora saldamente ancorate al carro di Ceferin (per motivi differenti ma concreti, non certo per banale legame di fedeltà). D’altronde, è ancora nell’arco delle ipotesi l’eventualità che le dodici, da sole, possano portare avanti l’operazione e in che modo.

La Superlega paventa proventi miliardari da conseguire tramite una ristrutturazione dell’offerta sul mercato tale da rendere il prodotto calcio più appetibile per le fasce più giovani, con il coinvolgimento di nuovi broadcaster (non tanto DAZN, comunque in campo ma spesso attore con il ruolo di partner, quanto Amazon), nonché la famigerata espansione sui mercati asiatici/pacifico. Sarebbe la definitiva evoluzione delle società di calcio in media company, e non è un caso che le dodici in questione vantino una stima di un miliardo di seguaci e appassionati in tutto il mondo. Sulla carta, sembrano ricavi certi per tutti i coinvolti, da dividere in assai meno quote e senza il pesante filtro burocratico della Uefa.

Rimangono i punti interrogativi: se effettivamente lo svecchiamento dell’offerta sia sufficiente per arginare l’emorragia di pubblico giovanissimo, o se effettivamente il potenziale ancora inespresso in termini di brand da alcune delle dodici (destinate a diventare nei piani quindici + cinque) si monetizzi, oppure rimanga solo un numero sui social. Ancora, considerando che in termini di bilancio un Real Madrid, allo stato attuale, vale tre volte la Juventus e cinque volte le squadre di Milano, è da vedere come i prospettati ed elevatissimi utili saranno distribuiti all’interno del consorzio, e se le società “minori” dello stesso riescano finalmente a commercializzare appieno i propri brand, operazione finora sempre fallita malamente proprio su quei mercati asiatici tanto agognati. E per certi versi, guardando Oltremanica, sono tutte da valutare le conseguenze (e le variazioni sugli utili) sulle sei società inglesi finora comunque vissute nel munifico quadro della Premier League.

La stessa idea di offerta sportiva messa in campo, ovvero sfide di élite a ciclo continuo tra le big europee, ha in sé il rischio di annacquare eccessivamente il pathos delle sfide stesse rendendole meno interessanti, limitandosi quindi a trasformare un Parma-Crotone in Tottenham-Milan (tra l’altro, è curioso come la partita più osannata dell’anno in termini di spettacolo, ovvero Bayern-PSG, rimanga di fatto ad ora nel quadro Uefa), e in parte è pur sempre un azzardo una “riforma” che possa risultare così impattante e, per certi versi, mortificante, rispetto al sentire comune dei tradizionali tifosi fidelizzati (e soprattutto fedeli), che in maniera comprensibile stanno in maggioranza respingendo d’istinto una proposta che potrebbe anche portare nel medio termine soltanto ad una saturazione dell’offerta di calcio, con quell’effetto nausea che mai si è del tutto concretizzato ma che si è fatto sentire nell’ultimo anno. Non si può certo quantificare il rischio, ma la carta dove perdi il vecchio tifoso senza guadagnare il nuovo sta nel mazzo e potrebbe pure saltare fuori.

Infine, ad ora non si ha seriamente idea se le squadre della Superlega rimarranno quantomeno nelle rispettive federazioni di appartenenza, o consumeranno lo strappo direttamente alla radice aprendo ulteriori quesiti in termini di appeal e sostenibilità economica degli stessi campionati nazionali. La situazione è comunque in rapida evoluzione e i tempi sono stretti per tutte le parti in gioco, visto che a giugno ci sono gli Europei nonché l’ultima fase del torneo Under-21, e ad ora ci potremmo pure aspettare ad esempio la Francia in campo senza Pogba e Griezmann. Vedremo.

A margine, ricordiamoci in ogni caso che le dichiarazioni a tutela dei tifosi uscite roboanti da vari vertici federali, confederali e persino politici non sono roba seria. Prendiamole, facciamoci una risata, e mettiamole in un cassetto. Non è per noi che i campionati furono fatti ripartire ad ogni costo, non è per noi che si difenderà il rischio sportivo delle competizioni Uefa contro qualsiasi format mutuato dall’Eurolega del basket o simili. Se sarà guerra, sarà la guerra dei ricchi. Per decidere chi avrà il diritto di venderci cosa.

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