di Lorenzo Giannotti

La Superlega dei top club prende il pallino del dibattito pubblico e, intanto, mi pare curioso che solerti liberisti e grandi sostenitori del libero mercato si indignino perché dodici sfavillanti società private leader nel mondo del pallone prendono un’iniziativa privata – creando una nuova competizione – chiedendo un prestito alla più grande banca del mondo che glielo eroga con piacere (ma pensa un po’!).

Indignati perché “il calcio diventerà dei ricchi”, e a questo punto mi chiedo se si siano scongelati ieri da cent’anni di ibernazione.

Indignati perché il calcio è un grande business: buongiorno e bentrovati nel 2021, sarà nostra premura fornirvi l’elenco delle cose che si fanno senza soldi nel terzo millennio. Sì, ha visto bene, è un bel foglio bianco signora!

Indignati perché imprenditori milionari vorrebbero tentare di arricchirsi di più, e formare un circolo elitario di milionari che si contendono e si dividono miliardi: ma che novità è mai questa?

Indignati perché così verrebbe meno lo spirito sportivo che contraddistingue il nobile giuoco del calcio, assente perlomeno da quando la palla in cuoio sostituì l’agglomerato di stracci.

Ma i più simpatici indignati del momento sono loro, i burocrati delle federazioni, Uefa su tutte che parla di “progetto cinico”, che ci tocca sentire! Confederazioni che si intascano la gran parte dei profitti delle competizioni più importanti (tant’è vero che si parla di una proposta di nuova distribuzione al 50 e 50 dei proventi con i club) e che ora partono con la lagnanza quando il giochino sembra che stia per rompersi.

Queste le parole di Andrea Agnelli su Uefa e Fifa: “Fifa e confederazioni, la più importante delle quali è quella europea, la Uefa, sono regolatori, organizzatori, broker e distributori del prodotto principale, sia esso il Campionato del Mondo o la Champions League. Lo schema degli ultimi decenni ha alimentato un’asimmetria che il Covid ha messo drasticamente in discussione: i calciatori sono protagonisti, ma non hanno quasi nessun potere decisionale rispetto a impegni e calendari. Gli imprenditori o gli investitori si assumono il rischio, ma non possono determinare formati e regole d’accesso e incassano proventi tramite l’intermediazione di autorità terze. Gli organizzatori/regolatori non sono né protagonisti né imprenditori, ma gestiscono, incassano e determinano. Quando la crescita è costante, i problemi si nascondono, quando la disruption arriva, il cambiamento è inesorabile”. Condivisibili o meno, mi pare che stia parlando di una guerra tra ricchi, non tra poveri.

Gli unici che hanno il diritto di indignazione sono i tifosi, ma sono anche gli unici che non contano un cazzo giacché, a oggi, si chiamano consumatori. Però potremmo pur sempre far finta di stupirci anche di questo.

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