“I bambini non amati non piangono / Chi chiamerebbero, col loro pianto?”. Irrompe ieratico, in una porosa forma larga, un poema magmatico intitolato Splendi come vita (Ponte alle Grazie). La poetessa Maria Grazia Calandrone allunga il passo, taglia a fette il tempo, materializza tracce del suo passato, ricostruisce il rapporto tormentato con la donna che l’ha adottata da neonata ed evoca il rapporto impossibile con la madre biologica morta suicida quando lei aveva otto mesi. Ed è una ricognizione traumatica di un sé trafitto da un rifiuto genitoriale mai del tutto definitivo, da un rancore sopito riaffiorante ogni giorno, ad ogni piega della crescita di Maria Grazia e dell’invecchiamento di mamma. Il corpo estraneo della figlia/ragazza: ostacolo, dileggio, vicinanza, armonia possibile, e ancora Disamore. Calandrone esalta le maiuscole improvvise di molte parole chiave per connotare gerarchie di senso familiare e sociale, modella di continuo i dodici capitoli con paragrafi da tre righe e altri più corposi di tre quattro facciate, riempiendo di solenne attesa anche la pausa degli spazi bianchi in pagina. La lingua maestosa si erge spesso su anafore ribollenti, screziate da accenni di deduttivi sillogismi, poi ancora cupe e caliginose ipotiposi. Qua e là sbucano perfino fotografie e ritagli originali dei giornali dell’epoca, quando Maria Grazia, bimba abbandonata poi adottata da Madre e Padre, lui deputato integerrimo del Partito Comunista Italiano, lei insegnante, viene a conoscenza a nemmeno quattro anni delle sue tristi origini. Splendi come vita è una sorta di racconto di formazione che invece di colmare la distanza affettiva tra genitore e figlio ne accentua pagina dopo pagina il divario, lasciando sempre più scoperto, intatto, l’antiretorico e antispettacolare desiderio relazionale della protagonista bambina-ragazza-donna. E nonostante la vibrazione altissima del versificare in forma romanzata abbia la perentoria prepotenza dell’opera d’arte che non si può discutere, Giovanni Pascoli incontra Umberto Tozzi, Italo Calvino i Pooh, e la Pantera universitaria il cupio dissolvi della Sinistra partitica italiana. Nonostante la connotata italianità generale del testo, spesso sembra echeggiare la metrica e la sonorità della poesia di Walt Whitman. Paragrafo brevissimo e significante che vale l’intero libro: “Rompo col pugno il cristallo azzurro della scrivania. È rimasto così, con la forma scheggiata del mio pugno da quattordicenne. Ci lavoro sopra”. Voto (“fragorosamente” mai deludente): 8 e 1/2

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Lo Scaffale dei Libri, la nostra rubrica settimanale: diamo i voti a Italian Life di Tim Parks, Maschi e Murmaski di Chiara Bongiovanni, Splendi come vita di Maria Grazia Calandrone

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