Giornalisti intercettati da una Procura come fossero terroristi mentre parlano con le loro fonti. Un canale di informazione su YouTube con oltre cinquecentomila iscritti e oltre duecento milioni di visualizzazioni chiuso per ordine di una corporation americana senza uno straccio di processo. Non accade in un regime autoritario chissà dove nel mondo fuori dalle rotte della democrazia ma in Italia, un Paese, forse, ancora, con ambizioni democratiche.

La Procura di Trapani, nell’ambito dell’inchiesta sulle Ong, la Libia, l’immigrazione ha intercettato, per mesi, decine di giornalisti in un’operazione di pesca a strascico di informazioni che avrebbero dovuto restare private almeno – ma non solo – in ossequio al principio della riservatezza delle fonti dei giornalisti, informazioni così tanto poco rilevanti ai fini delle indagini che ora ci si affretta a sottolineare che non verranno utilizzate nel processo.

E, forse, non ci si rende conto che questa non è una circostanza attenuante ma aggravante perché più quelle intercettazioni sono irrilevanti per le indagini, più disporle ha rappresentato un’indigeribile aggressione alla libertà di informazione. Senza dire che, come insegnano ormai decenni di intercettazioni accumulate, senza che fossero davvero indispensabili, nei nostri uffici giudiziari, l’esistenza di quelle registrazioni, di quelle trascrizioni, delle schede e informazioni compilate dagli investigatori espone di per sé a un rischio la riservatezza, la privacy, la segretezza di decine di persone che semplicemente avevano il sacrosanto diritto di non essere ascoltate, tracciate nei loro movimenti, di fare il loro lavoro di giornalisti in un Paese nel quale la segretezza delle fonti del giornalista è diritto presupposto rispetto alla libertà di informazione garantita dall’articolo 21 della Costituzione come, peraltro – ma non dovrebbe servire ricordarlo – insegna la Corte europea dei diritti dell’uomo.

Perché domani quei giornalisti faranno più fatica di quanta ne abbiano fatta in passato a convincere una fonte a fidarsi di loro magari più che delle forze dell’ordine e a difendere, con la forza delle parole, la nostra democrazia. E più fatica faranno i loro colleghi che fanno inchieste senza le quali il nostro Paese e il mondo intero sarebbero posti peggiori di quello che sono. E c’è un filo rosso – in questo caso neppure troppo sottile – tra questa brutta storia e quella di Byoblu, la testata giornalistica di Claudio Messora, diffusa via YouTube, silenziata, chiusa, imbavagliata non per aver violato una legge e non per ordine di un Giudice ma per aver violato i termini d’uso di una piattaforma privata che pure è diventata parte integrante dell’infrastruttura globale di comunicazione e che andrebbe considerata – e, talvolta, chiede essa stessa di essere considerata – come un’autostrada dell’informazione e sulla base di una decisione unilaterale assunta da YouTube stessa, società privata fornitrice del servizio.

La nostra Costituzione, salvo ipotesi eccezionali, vieta persino a un giudice di sequestrare un giornale in edicola mentre un soggetto privato può spegnere un intero canale di informazione solo perché ritiene che potrebbe diffondere – come accaduto nel caso in questione – disinformazione? E questo filo rosso, se non lo tagliamo in fretta, se non lo spezziamo, se, almeno, non lo allentiamo rischia di stringersi al collo della nostra democrazia e soffocarla silenziosamente nell’indifferenza dei più.

Perché è vero che c’è la pandemia, c’è la crisi economica, siamo in zona rossa nei giorni di Pasqua per il secondo anno consecutivo, i Governi, a Roma come a Bruxelles, sono concentrati a garantire la ripresa economica e a restituirci condizioni sanitarie ordinarie ma il rischio che si dovrebbe riuscire a vedere chiaro all’orizzonte è che quando tutto questo sarà finito, quando l’emergenza sanitaria sarà un ricordo, quando il turismo sarà ripartito, quando gli esercizi commerciali e le imprese riprenderanno a fatturare come è giusto che sia, noi, tutti, senza eccezioni, ci ritroveremo cittadini sani di una democrazia malata.

Storie come quelle delle intercettazioni in danno dei giornalisti disposte dalla Procura di Trapani o di un canale YouTube chiuso senza un processo davanti a un Giudice terzo e imparziale dovrebbero sollevare l’indignazione popolare e determinare il pronto intervento del Governo perché il silenzio rischia di legittimarne altre analoghe e di convincerci che sia tutto normale, che non possa che essere così, forse, persino, che non si tratti di aggressione alla democrazia. Viene il dubbio che l’immaterialità delle condotte, entrambe perpetrate esclusivamente della dimensione tecnologica, non ne faccia percepire sino in fondo la gravità che, pure, certamente, non è inferiore – e anzi ha una magnitudine enormemente superiore – rispetto all’attacco a Capitol Hill che, all’inizio dell’anno, ha dominato – nonostante la pandemia – la scena mediatica e politica globale per settimane.

E, allora, tornano in mente le parole di Louis Brandeis, papà del diritto alla privacy e all’epoca Giudice alla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, pronunciate, esattamente un secolo fa – forse non casualmente – proprio in uno dei primi grandi processi alle intercettazioni telefoniche: “L’esperienza dovrebbe insegnarci a essere più preoccupati di proteggere la libertà quando un governo persegue scopi benefici. Gli uomini sono naturalmente all’erta per respingere l’invasione della loro libertà da parte di governanti malvagi. I più grandi pericoli per la libertà si nascondono nell’azione insidiosa di governi ben intenzionati ma incapaci di comprendere le conseguenze delle loro azioni sulle libertà e i diritti fondamentali”.

Non sarà che ci stiamo cullando troppo sull’idea di vivere in un Paese democratico guidato da Istituzioni repubblicane che agiscono nell’interesse esclusivo dei cittadini e del benessere collettivo? Perché il rispetto dei diritti fondamentali, tutti egualmente importanti e nessuno tiranno, è l’unico reale vaccino capace di garantirci un futuro democraticamente sostenibile e ogni deroga a questo principio, non importa quanto giustificata dalla ferma volontà di perseguire un interesse nobile, minaccia inesorabilmente la nostra democrazia. E allora non lasciamoci scivolare addosso queste due aggressioni alla libertà di informazione.

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