“La censura online, al di là di quello che è successo a Byoblu, è un tema enorme. Distorce la trasparenza del dibattito pubblico, che è governata da leggi e istituzioni. Parlo dell’articolo 21, così come delle leggi sulla diffamazione e dell’Ordine dei giornalisti. Sono loro preposti al rispetto delle norme vigenti nel nostro Stato, non YouTube o i social, che quindi disconoscono le norme del nostro ordinamento e agiscono tramite un algoritmo in modo incostituzionale decidendo di cosa si possa o meno parlare e censurando il resto. Sono monopolisti e sono diventati editori a tutti gli effetti. A differenza di quello che dicono loro, non sono fornitori di servizi“. Claudio Messora, fondatore di Byoblu, ricostruisce le tappe che hanno portato alla chiusura del canale su YouTube. Un canale “con più di 500mila iscritti e più di duecento milioni di visualizzazioni“, sul quale erano stati caricati 14 anni di contenuti video, con interviste, analisi, convegni e manifestazioni pubbliche. La chiusura del canale è avvenuta dopo un avviso e tre avvertimenti, l’iter “classico” che, attraverso progressive sospensioni, porta poi all’oscuramento definitivo. A decidere è un algoritmo che stabilisce se siano state o meno violate le regole della policy fissate dal social. Da ricordare poi che a fine 2020, a seguito della pandemia di Covid-19, è stata introdotta una nuova regola di comportamento (qui) secondo cui “YouTube non tollera contenuti che diffondano disinformazione in ambito medico, in contraddizione con le informazioni fornite sul COVID-19 dalle autorità sanitarie locali o dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)”. Il caso Byoblu, intanto, è finito in un’interrogazione parlamentare del senatore Gianluigi Paragone, arrivato sotto forma di ricorso all’Agcom – ricevuto e accettato il 25 febbraio – e il 5 maggio sarà discusso in Tribunale a Milano per, dice Messora, “far cessare questa condotta persecutoria di Youtube“.

Partiamo dalla fine. Perché YouTube ha cancellato il canale di Byoblu?
Ci siamo arrivati attraverso un avviso e tre avvertimenti. L’avviso è arrivato il 18 dicembre per una manifestazione di piazza a Cesena. Un video mai pubblicato, rimasto in bozza col titolo “non pubblicare”. Abbiamo ripreso una protesta contro il lockdown. Sono cose che succedono nel Paese, sono nato e cresciuto dove viene tutelato il diritto di cronaca e se non se la prende la polizia coi cittadini non c’è nulla di illegale. Ma il video è stato rimosso.

Poi sono arrivati i tre avvertimenti.
Il primo è del 14 gennaio: YouTube ha oscurato l’edizione del telegiornale (oggi sul nuovo canale Byoblu24, ma fino al 30 marzo trasmesso sul canale Byoblu poi chiuso, ndr) per “disinformazione in ambito medico”. Avevamo parlato di un editoriale apparso sul British Medical Journal a firma di Peter Doshi, “professore di ricerca sui servizi sanitari farmaceutici dell’Università del Maryland ed editore associato della stessa rivista scientifica inglese, definito tempo fa dal New York Times come una delle voci più autorevoli a livello mondiale” che contestava la trasparenza dei dati pubblici sui vaccini Pfizer e Moderna e dunque la loro efficacia. L’avvertimento comporta una sospensione da ogni pubblicazione per una settimana, con conseguente danno di immagine ed economico. Il 26 gennaio l’avvertimento è stato spontaneamente ritirato da YouTube perché attribuito ad un errore degli algoritmi, ma gli effetti della sospensione non sono stati compensati.

Poi è seguito un avvertimento effettivo. Di fatto, il primo.
Sì. Arriviamo al 6 febbraio 2021, quando YouTube ha oscurato un video che risaliva a ben cinque mesi prima e che era un’intervista al dottor Domenico Mastrangelo, Senior Scientist presso il Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Siena, specializzato in ematologia, oftalmologia ed oncologia. Il medico faceva alcune considerazioni sull’andamento della pandemia e sull’efficacia del vaccino e in particolare sosteneva che l’assunzione di vitamina C, per le sue proprietà anti-virali, fosse un utile rimedio per la prevenzione del virus Covid-19, che non si potesse parlare di vera e propria pandemia per descrivere l’emergenza sanitaria in corso
(essendo interessato, alla data in cui era stata registrata l’intervista, solo lo 0,5% della popolazione mondiale) e, infine, che la sequenza del virus fosse stata concepita in laboratorio. Anche in questo caso arriva l’oscuramento del video e da lì oscuramento e sospensione di una settimana con conseguente danno economico.

Poi arriva il secondo avvertimento.
Cancellata il 2 marzo la manifestazione di piazza in piazza Duomo a Milano, dove anche in questo caso si protestava contro le restrizioni. Manifestazione, ci tengo a dirlo, regolarmente autorizzata e documentata nell’ambito del diritto di cronaca. Anche questo video non era stato pubblicato ed era solo per le valutazioni interne della redazione ma, come per il caso di Cesena, YouTube lo ha oscurato anche se non era pubblico. Arrivato a questo punto, visto che eravamo già al secondo avvertimento e sapendo che al terzo ci avrebbero chiusi, ho cancellato tutti i video che riguardavano in qualche modo la pandemia andando a ritroso fino a luglio scorso. Cancellati quelli dove parlavano o che riguardavano medici e scienziati, compresi tutti i in cui si parlava della crisi sanitaria. Siccome avevo visto che YouTube andava a ritroso nell’archivio, con la rimozione preventiva volevo evitare la cancellazione del canale.

Però hai dimenticato di togliere il video che è poi stato oggetto dell’ultimo avvertimento.
Sì. Ho dimenticato quello della “manifestazione del popolo delle mamme” a Roma, girato a settembre 2020, che protestavano contro gli effetti delle politiche di lockdown sui bambini e contro le misure per il contenimento della pandemia. Diamo spazio a questo genere di fatti di cronaca che non troviamo nell’informazione mainstream. All’interno del video, fra gli altri, c’era anche il panafricanista Mohammed Konare, che contestava restrizioni e i numeri della pandemia, nonché la sua stessa esistenza. Era un video di sette mesi fa. Mi domando: a chi dava fastidio? L’algoritmo del resto li trova subito, non sette mesi dopo. Qualcuno forse è andato a ritroso nel tempo e si è ascoltato il video fino a trovare quel passaggio dopo il quale è scattato il nuovo e ultimo avvertimento? A me sembra una persecuzione, non avevo pubblicato nulla e sono andati a pescare un contenuto vecchio e che fra l’altro non aveva neanche tante visualizzazioni.

Arriva la chiusura del canale Byoblu.
La sera prima, quindi il 29 marzo, avevo pubblicato un video in cui – per evitare ulteriore caos – parlavo soltanto io e mi riferivo alla campagna vaccinazione di Bricomarket che dà 10% di sconto ai vaccinati o a chi ha prenotato il vaccino. Non so se hanno trovato questa scusa per cancellare tutto, sta di fatto che il 30, due giorni fa, hanno chiuso il canale.

Durante tutti questi passaggi, avete avuto modo di parlare con qualcuno e di non interfacciarvi soltanto con l’algoritmo e gli avvertimenti?
No, perché non c’è modo di parlare con nessuno. Se fai contestazione dei loro avvisi o avvertimenti, dopo qualche minuto arriva la risposta automatica che ti dice che la contestazione è stata rifiutata. Non ci sono numeri di telefono, non c’è nessuno a cui rivolgersi. Se sei una piccola testata come la nostra non riesci a contattare nessuno.

Una decina di giorni fa avete aperto un altro canale, Byoblu24. Sapevate che vi avrebbero chiusi?
Abbiamo deciso di aprirlo quando eravamo al secondo avvertimento. Ma ci hanno già rimosso il Tg del 30 marzo, in cui davamo la notizia della chiusura del canale, Paragone parlava di quanto ci era successo e abbiamo mostrato dei ricorsi di avvocati che contestavano le politiche di lockdown. Perché la politica la puoi contestare, no? Altrimenti dove stiamo vivendo?

Quindi altri due avvertimenti e vi chiudono anche quello?
Sì.

E adesso che succede?
Agcom ha accolto il nostro ricorso e sta chiedendo spiegazioni a Google nell’attesa che riconoscano il nostro diritto di cronaca. Esistono ordine dei giornalisti, articolo 21 e tribunali quindi pretendo che nel momento un cui uno è incardinato in un processo di tutela e verifica della correttezza del proprio comportamento, una multinazionale estera rispetti la legge dello stato. Se un magistrato mi dice che mi oscura nessun problema, siamo a casa nostra e abbiamo le nostre leggi. Ma qui chi decide è gente che vive in altri Paesi, ha altri interessi ed è monopolista di fatto. Perché, in rete, uno i video li vede su YouTube. Quindi in questo modo distorce la trasparenza del dibattito pubblico che è governata da tutele e leggi che YouTube disconosce. Dunque è incostituzionale che siano loro a decidere o meno di cosa parlare.

I social sono società private, però.
Certo, ma facciamo un esempio. Se YouTube impedisse di pubblicare video a neri, ebrei e omosessuali non grideremmo allo scandalo dicendo che sta violando la Costituzione perché sta discriminando? Sì. E allora perché può fregarsene dell’articolo 21 sulla libertà d’espressione? Per le violazioni della legge ci sono giudici e tribunali. Al di là di quello che è successo a noi, c’è una cosa importante da dire.

Cioè?
Lo Stato in questo momento deve capire come recuperare il controllo sulla trasparenza del dibattito pubblico. Se decidi cosa può inquinare o no la politica a vantaggio di tutti, dovrebbero essere stabiliti dei paletti. Bisogna che si riprenda il pallone. Nel nostro caso la risposta dei cittadini è stata molto chiara: abbiamo chiesto 150mila euro per aprire un canale sul digitale terrestre e in un giorno e mezzo siamo a più di 200mila euro raccolti e dobbiamo ancora conteggiare i bonifici. Questa risposta dovrebbe fare riflettere un po’ tutti. Tante persone chiedono un’informazione pluralista e non vogliono essere trattate come bambini che non sono in grado di pensare con la loro testa.

Rispetto al vostro caso, quali sono state le reazioni della politica?
Paragone ha depositato un’interrogazione e Bagnai è intervenuto al Senato, chiedendo alla presidente Casellati di incardinare un procedimento in cui una legge possa stabilire che nel caso di una testata registrata in un tribunale come siamo i noi i social non devono entrare, perché ci sono leggi dello Stato preposte a farlo. Casellati ha detto che porrà la questione all’attenzione dei capigruppo e mi dicono che sul tema ci sia interesse trasversale. Siamo arrivati a un punto in cui, rispetto alla censura online, tutti si rendono conto che c’è qualcosa che non va ed è insostenibile. Anche la logica del fact cheking su facebook segue decisioni politiche su quello che è o meno disinformazione. Ma se ti lamenti coi social e denunci devi fare rogatorie internazionali. E allora, aspetta e spera.

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