Avete mangiato carne d’agnello la Pasqua scorsa? Avete intenzione di farlo quest’anno? Se in entrambi i casi la risposta è no, non siete soli. Negli ultimi anni il consumo pro capite di carne ovicaprina in Italia si è ridotto a meno di 1 kg all’anno, e sono sempre di più gli italiani che decidono di non mangiare agnello il giorno di Pasqua.

Questo cambiamento, in gran parte culturale, riguarda soprattutto l’ultimo decennio. Nel 2010 sono stati macellati in Italia circa 4,5 milioni di agnelli, nel 2016 questo numero è sceso del 50%, toccando i 2,4 milioni. Da allora però questo calo ha registrato un forte rallentamento, rimanendo pressoché stabile. È importante inoltre segnalare che non tutti gli agnelli che finiscono sulle tavole degli italiani sono allevati in Italia.

Il 33% degli agnelli macellati nel nostro Paese viene infatti importato, soprattutto da Ungheria, Romania, Spagna e Francia. I viaggi sono lunghi ed estenuanti e arrivano a durare anche 30 ore. Questo ha ovviamente delle conseguenze deleterie sulla salute degli animali, che durante il viaggio possono persino ferirsi e morire.

La diminuzione delle macellazioni di agnelli è da imputare alla crescente sensibilità dei consumatori nei confronti di questi animali, dovuta sicuramente anche alle campagne di sensibilizzazione realizzate dalle organizzazioni per i diritti degli animali. Essere Animali ha dato il suo contributo con diverse indagini, alcune delle quali sono state diffuse dal Tg1.

Gli agnellini sono vittime di una tradizione che dura da duemila anni, ma che, come tutto ciò che fa parte della cultura, può cambiare. È la società a decidere che cosa è accettabile o meno e la storia ci offre moltissimi esempi: l’abolizione della schiavitù, il suffragio universale, la settimana lavorativa di 5 giorni, il diritto all’aborto sono tutte vittorie ottenute prima di tutto grazie a un cambiamento nella coscienza collettiva. Il consumo di cuccioli potrebbe diventare presto una vecchia usanza a cui le generazioni del futuro guarderanno con biasimo.

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