Il 20 marzo ricorreva la “Giornata Mondiale della Felicità”, con cui si vuole ricordare che la ricerca della felicità è uno degli scopi fondamentali dell’Umanità. Nel pensare a questa festa mi è venuto in mente quanto è emerso in una recente ricerca di Absolute Digital Media su come un “buon capo” debba comportarsi con il proprio team per appagare e rendere felice ogni persona che lavora con lui.

Ho, così, provato ad incrociare questi suggerimenti con quanto emerge dal Better Life Index sull’Italia, cioè il report dell’Oecd sullo stato di felicità del nostro Paese, basato su undici tematiche con cui si cerca di capire quale sia il reale benessere di una popolazione, abbandonando dati puramente economici e freddi, come il Pil. Per comprendere se ciascun abitante del paese considerato è (seppur in media) più o meno felice vengono, quindi, utilizzate indagini su temi come “istruzione” e “equilibrio vita-lavoro”, che hanno una chiara connessione con il mondo del lavoro.

Insomma, da un lato un approccio verticistico per cui un “capo” ci “spiega” come lui ci può rendere felici (quindi un approccio Top-Down) e, dall’altra, una valutazione che (con approccio Bottom-Up) indica quale sia il benessere e la felicità della popolazione (quindi, anche di quella parte che lavora) in ogni singolo Paese Ocse, sulla base di quanto dicono le persone.

L’approccio Top-Down

“Promuovere una forte cultura aziendale è vitale per ridurre il turnover del personale e garantire una qualità di lavoro eccellente” è il mantra di Ben Austin, Ceo e fondatore di Absolute Digital Media. Si è, quindi, di fronte ad una impostazione verticistica e paternalistica del rapporto di lavoro, perché le cose migliori e più desiderate dai lavoratori sono forme di appagamento che passano attraverso il “capo” e sue unilaterali decisioni.

Infatti, seguendo l’ordine di importanza di Absolute Digital Media, al primo posto si trova il riconoscimento del “capo” per il lavoro svolto, seguito da un bonus o da un aumento di stipendio sempre stabilito dal superiore gerarchico. Al quarto posto si trova il “grazie del capo” e al quinto un suo pacco dono. Le cose che invece vengono considerate rilevanti dall’indice di felicità dell’Oecd, come l’“istruzione”, l’“equilibrio vita-lavoro” occupano il decimo (ultimo) posto e il settimo. Secondo un simile approccio la felicità e il benessere di ogni singolo lavoratore derivano da comportamenti accondiscendenti del “capo” che, con le sue gratificazioni (morali o economiche), contribuisce alla gratificazione delle attese dei suoi collaboratori.

Da considerare, ai fini dell’attendibilità dell’analisi, che il campione statistico utilizzato è di sole 550 persone, senza ulteriori indicazioni circa la loro posizione lavorativa, il genere e le loro condizioni economiche complessive. Cosa succede se osserviamo la realtà dal basso, chiedendo ai diretti interessati?

Se osserviamo la stessa realtà guardando come le singole persone hanno risposto all’Oecd (con un approccio statistico e scientifico indiscutibile) su come possano essere felici, si può notare come le richieste siano diverse. Così, una delle cose che rende più felici le persone che lavorano è la ricerca di un giusto equilibro tra lavoro e vita privata. Inutile ribadire quali siano le mille ragioni (soprattutto se consideriamo il lavoro delle donne) per cui una tale esigenza non possa essere relegata al settimo posto, come fatto dalla ricerca di Absolute Digital Media.

Insomma, la felicità in ambito lavorativo è connessa ad un’equilibrata quantità di tempo trascorso sul posto di lavoro, cosicché (salvo patologiche ed isolate situazioni) orari di lavoro molto lunghi sono non solo considerati dannosi per la salute e per l’incremento dello stress, ma anche indice di “infelicità”, perché tanto più una persona lavora, quanto meno può dedicarsi alle altre attività personali.

Il vero segreto che un “capo” dovrebbe conoscere per rendere felici le persone con cui lavora è, quindi, quello di assicurare l’equilibrio tra vita privata e lavoro; non certo lo possono essere le sue “carezze”, il suo riconoscimento o il suo grazie, che dovrebbero essere scontati e non stimoli di gioia, ma frutto di ordinaria educazione sociale.

Altro elemento che secondo l’Oecd crea felicità e benessere è l’accesso ad una buona formazione durante tutta la vita lavorativa: conoscenze aggiornate, qualifiche e competenze necessarie per partecipare attivamente alla società ed alla vita economica sono un elemento che rende felici, poiché un buon livello d’istruzione migliora considerevolmente le opportunità di trovare un lavoro e di guadagnare bene.

Possedere un titolo di studio ed essere competenti è ritenuto di fondamentale importanza, soprattutto oggi che le richieste del mercato del lavoro sono sempre più basate sulla conoscenza. Questo rende, quindi, felici le persone che lavorano con noi e non si può pensare che un riconoscimento così strategico possa occupare l’ultimo posto di un’ipotetica classifica d’importanza.

Articolo Precedente

Rider, anche a Milano sciopero delle consegne: “Vogliamo dei veri contratti di lavoro. Governo tenga faro acceso sulla nostra situazione”

next
Articolo Successivo

Lavoro, ministero-Bankitalia: recuperata solo metà dei posti persi durante il lockdown. ‘Forti cali nel turismo, bene il trasporto merci’

next