La proteste in Spagna durano ormai da una settimana e non accennano a placarsi. L’arresto del rapper Pablo Hasél, condannato a nove mesi per “esaltazione del terrorismo e ingiurie alla Corona” in alcuni tweet e canzoni, ha scatenato un’ondata di indignazione. Solo a Barcellona gli arresti sono stati oltre 75, di cui 24 minorenni, con saccheggi e attacchi a negozi e a emblematiche strutture come il Palau de la Música. Ma già da mercoledì scorso gli scontri hanno raggiunto picchi di violenza, come nel caso di una ragazza che ha perso un occhio a causa di un proiettile di foam —munizione che dal 2014 sostituisce quella di gomma— sparato dai Mossos d’Esquadra, la polizia catalana. La politica è divisa tra chi si schiera a favore delle forze dell’ordine e chi le condanna per la violenza perpetrata sui manifestanti.

Dietro la protesta – Nonostante alcuni atti in difesa di Hasél a Valencia e Madrid, la Catalogna si è trasformata nell’epicentro del risentimento: nel fine settimana oltre 6mila persone hanno protestato per le strade di Barcellona. L’arresto del rapper, prelevato martedì scorso dai Mossos nell’Università di Lleida, viene visto come un attacco alla libertà di opinione, ma per molti ragazzi il malessere parte dalle difficoltà nell’accesso al mercato del lavoro, con una disoccupazione giovanile che supera il 40%. “C’è molta rabbia e un accumulo di ingiustizie e problemi che colpiscono noi giovani ma che si estendono al resto della società. Non possiamo accedere al mercato del lavoro e abbiamo contratti precari”, ha detto Alex Cantón, un ragazzo di 24 anni, a El País, in un reportage dove altri manifestanti esprimono le stesse preoccupazioni.

La polemica nella coalizione – Le foto e i video ritraggono da una parte atti di razzia e vandalismo nei confronti di alcuni negozi, specialmente quelli del paseo de Gràcia di Barcelona, ma anche cariche dei Mossos e pesanti scontri tra le due parti. La coalizione di governo è tornata ulteriormente a spaccarsi, sebbene siano tutti d’accordo su una riforma del Codice Penale per punire con il carcere solo reati riconducibili alla libertà di opinione che costituiscano un chiaro rischio per l’ordine pubblico. Due portavoci di Podemos, si sono schierati dalla parte dei manifestanti: “Ci sono settori che non vogliono affrontare i problemi di fondo, che cercano di bollarli come problemi di ordine pubblico”, ha affermato Rafael Mayoral riferendosi a un problema di “violenza strutturale”.

Diversa la reazione del Partito Socialista: “Tutti i diritti hanno limiti, anche quelli fondamentali, perché altrimenti sono impraticabili. I fatti accaduti non hanno nulla a che vedere con la libertà d’espressione”, ha dichiarato la vicepremier Carmen Calvo. Contro l’opinione della formazione di Pablo Iglesias si è schierata in blocco anche l’opposizione. La presidente della comunità di Madrid, Isabel Díaz Ayuso, del Partito Popolare, si è presentata durante una riunione dell’assemblea regionale con in mano un ciottolo di una strada della capitale per denunciare il vandalismo.

Le elezioni catalane – La vicenda Hasél ha cambiato le carte in gioco nella trattativa per la formazione di un nuovo governo in Catalogna. Esquerra Republicana (Erc) sta dialogando con Junts x Cat e Candidatura d’Unitat Popular (Cup) per ricostruire il blocco indipendentista ed escludere dall’esecutivo regionale i socialisti catalani, arrivati primi alle elezioni del 14 febbraio. I nove seggi di Cup sono fondamentali per raggiungere la maggioranza assoluta, ma adesso l’accordo è subordinato a una riforma dei Mossos d’Esquadra. Le condizioni di partenza sono chiare: la proibizione dei proiettili di foam che hanno causato la perdita dell’occhio destro a una manifestante e la sospensione dell’agente responsabile.

Il partito, che si definisce anticapitalista, ha già denunciato la condotta della polizia catalana durante le proteste scaturite dalla sentenza contro i responsabili del processo indipendentista del 2017. A loro avviso, la Generalitat avrebbe animato e al contempo represso le manifestazioni. Per il momento il presidente ad interim Pere Aragonés, leader di Erc, ha le mani legate: ha sostituito lo scorso anno Quim Torra, condannato per disobbedienza dopo aver esposto uno striscione a difesa dei politici condannati durante la campagna elettorale delle elezioni nazionali, e fino alla formazione del nuovo governo non ha l’autorità per imporre cambi radicali. Per il momento, si è limitato ad aprire un’indagine sui Mossos difendendo comunque il loro operato: “Un episodio non può macchiare il lavoro di un corpo di cui fanno parte 17mila agenti che lavorano per proteggere la sicurezza, i diritti e le libertà di tutta la cittadinanza”.

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