A cento anni dal Congresso di Livorno, Marcello Flores e Giovanni Gozzini hanno ricostruito la nascita del PCI nel libro Il vento della rivoluzione (editore Laterza, pagine 251, euro 24).

La tesi di fondo è che se non vi fosse stata la rivoluzione sovietica nel 1917 non avremmo avuto, in Italia, la scissione del PSI né la nascita di un partito comunista e le violente polemiche fra comunisti e socialisti. Del resto, la violenza è il connotato di base della rivoluzione sovietica. Lo stesso Palmiro Togliatti, come membro autorevole del Comintern, si rende complice delle “purghe staliniane”, fino a condannare a morte anche numerosi suoi “compagni”, comunisti e socialisti fuggiti dall’Italia per sottrarsi alla persecuzione del regime fascista.

Ma quel che colpisce in Togliatti, a mio parere, è la disponibilità ad ogni forma di compromesso pur di governare l’Italia. Fra le vicende spesso ricordate criticamente dagli storici, l’amnistia e il voto favorevole al recepimento nella Costituzione, con l’articolo 7 del Concordato. Ma mentre per l’amnistia è giusto ricordare che la grande maggioranza delle forze politiche la ritenevano necessaria, l’approvazione dell’articolo 7 è imperdonabile, perché da oltre 70 anni ha consolidato, per il Vaticano, una serie di privilegi economici incredibili ed é stata una delle cause principali delle continue ingerenze del Vaticano nelle vicende politiche italiane.

Impossibile ricordare, nello spazio di cui dispongo, le tante vicende e i personaggi ricordati dagli autori nel loro libro, che si legge come un romanzo. Fra gli altri, spicca Antonio Gramsci, di cui gli autori ricordano la lunga prigionia ed il coraggio. Ma evidenziano che anche un grande intellettuale come lui è talvolta partecipe del massimalismo (verrebbe la tentazione di dire “della follia”) comunista. Ad esempio, quando in piena crisi Matteotti, Gramsci afferma: “Alle stolte campagne dei giornali di opposizione rispondiamo dimostrando la nostra reale volontà di abbattere non solo il fascismo di Mussolini e Farinacci, ma anche il semifascismo di Amendola, Sturzo e Turati”.

Mi permetto una digressione. Nel 2005 ho pubblicato un libro, La guerra di Troilo (editore Rubbettino), in cui narro le vicende di mio padre, comandante partigiano e “prefetto politico” (non di carriera) di Milano nel biennio 1946-1947. In particolare, ho cercato di ricostruire la vicenda finale di questo biennio, quando il ministro degli Interni Scelba, nel novembre del 1947 , destituì di colpo e senza motivazioni mio padre – molto amato a Milano per aver fortemente contribuito alla ricostruzione della città – provocando una insurrezione popolare, con centinaia di partigiani armati che occuparono per un giorno e una notte la Prefettura. Ho sempre pensato – ma mai ho potuto dimostrarlo – che Scelba volesse provocare una guerra civile come quella che portò alla distruzione del Partito Comunista in Grecia. Quella che Indro Montanelli chiamò “la guerra di Troilo” non ci fu soprattutto grazie all’equilibrio e allo spirito di sacrificio di mio padre. Ma nel 2014, in occasione della apposizione in Prefettura di una targa in memoria di Ettore Troilo, il prefetto in carica, Francesco Paolo Tronca, disse, nel suo discorso, che Scelba – in caso di gravi disordini – “aveva dato l’ordine di sparare sulla folla”. Ed è già una affermazione grave, venendo per di più da un prefetto di carriera ed appassionato studioso di storia.

Ora, nel libro di Flores e Gozzini, trovo una conferma delle cattive intenzioni del ministro degli Interni: “Si diceva che i comunisti avessero un piano insurrezionale, il famoso piano K, che sarebbe scattato nell’autunno del 1947, dopo la partenza degli angloamericani, ed io, che a quel piano non ho mai creduto, mi comportai come se effettivamente ci fosse. Perciò adottai le mie contromisure, sulle quali ritengo di dover ancora mantenere il riserbo. Posso solo dire che non avremmo ceduto il potere e che creai una serie di poteri per l’emergenza, una rete parallela a quella ufficiale, ma ad essa superiore, che avrebbe assunto automaticamente ogni potere in caso di insurrezione”. Forse anche per questo, quando Giancarlo Pajetta, capo degli occupanti, chiamò al telefono Togliatti per dirgli: “Abbiamo una Prefettura”, il segretario del PCI gli rispose: “E ora cosa ve ne fate?” (Mario Scelba. Ecco come difesi la libertà degli italiani, Prospettive nel mondo, 12,1988,1, pagina 9).

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